Anna Finocchiaro: presto finirà l'incubo Berlusconi
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«Né pessimista né avvilita», dice di sé Anna Finocchiaro presentandosi alla Festa democratica di Cagliari, «perché l'Italia ormai si è risvegliata. L'incubo Berlusconi finirà». All'Exmà per battezzare l'avvio della manifestazione, il capogruppo Pd al Senato confida la sua fiducia nelle potenzialità del Paese: il nodo che le strozza è Silvio Berlusconi (definito, con sprezzante ironia, «un nano della politica»), col suo governo. «Ogni giorno che resta è peggio», ragiona Finocchiaro dopo che Standard & Poor's ha declassato il debito italiano: «Non solo per l'azione del governo, ma per la sua stessa permanenza. Il giudizio delle agenzie di rating è tranchant ».
Colpa dei media e delle opposizioni, dice il premier.
«Le sue opinioni ormai sono, a essere buoni, disancorate dalla realtà. Ma mi impressiona che i suoi non vedano come, nel suo egoismo ossessivo, Berlusconi trascini a una sorte nera l'Italia, il Pdl e i suoi stessi dirigenti».
Se conserva una maggioranza parlamentare, si va avanti fino al 2013.
«Avanti, dice lei? Io dico indietro. Anzi, precipiteremo. A meno che non sorga un'altra consapevolezza».
Lui non si farà da parte.
«Si faceva da parte persino Andreotti... Qualcuno dica a Berlusconi che esistono risorse istituzionali che possono guidare il Paese».
Dareste via libera a un altro premier di centrodestra?
«La priorità è che si levi da mezzo Berlusconi. Il dopo, si vedrà. Di sicuro, il Pd è ormai il primo partito e non teme le elezioni».
Neanche con l'attuale legge elettorale?
«Quella va cambiata. La maggioranza ricordi che, se no, si vota col Mattarellum».
Sicura che il referendum si faccia e centri il quorum?
«Le firme ci sono quasi. E il quorum non mi preoccupa. Berlusconi non si rende conto che la gente si è svegliata. L'Italia s'è desta».
Però sul referendum non è chiaro se il Pd sia a favore.
«La nostra proposta di legge è per il doppio turno: il Mattarellum porta ad alleanze troppo eterogenee e poco coese. Ma sempre meglio del Porcellum».
Teme che il Pdl corteggi l'Udc col proporzionale?
«Ci provano. Ma Casini li ha già gelati. L'Udc però ha la responsabilità di essere chiara davanti al Paese».
Invitando l'Udc a scegliere da che parte stare, non la spingerà verso Berlusconi?
«La nostra analisi sull'Italia coincide con quelle dell'Udc. E in questa fase non è più tempo di terzismi».
Come può stare Casini in un'alleanza Pd-Sel-Idv?
«A problemi straordinari, soluzioni straordinarie. Il Pd è al centro del sistema: senza, nessuno farà niente. Cerchiamo alleanze sui programmi: neppure imponiamo il leader, accettiamo le primarie. Più di così...»
Ma siete, anche in Sardegna, un partito litigioso.
«C'è compiacimento nel raccontare come insanabili i conflitti. Decidiamo quasi tutto all'unanimità: si dibatte sulle alleanze, ma in un grande partito, l'unico non leaderistico, ci sono necessariamente più opinioni».
Dove sono le vostre idee per rilanciare l'economia?
«Tradotte da tempo in proposte di legge per liberalizzazioni vere, e una revisione della spesa che faccia scelte, tutelando università, ricerca, formazione».
Obama tasserà di più i ricchi: strada obbligata anche per un Pd di governo?
«Noi contestiamo una manovra che fa pagare sempre i soliti, e parliamo di patrimoniale immobiliare. Chi ha di più, contribuisca di più».
Caso Penati: quanto può fare male al Pd?
«Tanto. Perciò siamo molto rigorosi. Il nostro codice etico sarà più rigido. Con un Parlamento bloccato dalle leggi-salvacondotto per Berlusconi, noi non gridiamo al complotto e chiediamo di non interferire coi giudici».
Non servirebbe una riforma della giustizia e un limite alle intercettazioni?
«La riforma sì, ma non per tagliare le unghie ai giudici e salvare Berlusconi. Sulle intercettazioni, non si pubblichi ciò che è ancora segreto e non utile ai processi: ma senza limitare un decisivo mezzo d'indagine».
Alle Politiche saprete rinnovare davvero la squadra?
«Ancora? C'è una segreteria con età media di 35 anni, quarantenni come Zingaretti e Renzi, lo stesso Zedda a Cagliari esce dalle primarie volute da noi. E ancora ci si chiede di rinnovare».
Giuseppe Meloni