Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

A spasso tra jazz, swing e blues

Fonte: La Nuova Sardegna
4 settembre 2008

GIOVEDÌ, 04 SETTEMBRE 2008

Pagina 39 - Inserto Estate

Due ore e mezzo di spettacolo del poliedrico musicista pugliese con la sua Orchestra italiana



Melodie napoletane e non solo per catturare il pubblico



In quattromila ieri sera hanno riempito l’anfiteatro

ANDREA MASSIDDA

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CAGLIARI. Possono bastare due ore e mezzo di canzoni celeberrime per dimenticare lo squallore che, tra immondizia e criminalità organizzata, continua a infamare una delle città più belle del mondo? Sono sufficienti quindici musicisti virtuosi guidati da un brillante e infaticabile show-man per infondere ottimismo nel pubblico e ricordargli che Napoli non è soltanto la metropoli oscena raccontata da Roberto Saviano, ma è anche una seducente capitale che, tanto per fare un esempio, si permette il lusso di conservare una scultura come il «Cristo Velato» in una piccola cappella del centro storico? Chi crede ciecamente in questa terapia a base di mandolino e clarinetto è Renzo Arbore. Al punto che da diciotto anni, insieme con la sua Orchestra Italiana, fa il giro del pianeta per riproporre nei suoi concerti i brani più belli del repertorio partenopeo. Reduce da un tour interminabile che lo ha portato in tutta Europa ma anche in Cina, negli Stati Uniti passando per l’Australia e il Giappone, ieri sera l’ideatore di «Indietro tutta» è tornato dopo nove anni a Cagliari, dove all’anfiteatro romano, davanti a quattromila spettatori entusiasti, ha ancora una volta lanciato il suo messaggio: scurdammoce ‘o passato (e magari anche ‘o presente). Come? Per quanto sembri paradossale, cantando in coro i vecchi e rassicuranti classici.
Abbronzato e con indosso un gilet rosso l’uomo che insieme a Gianni Boncompagni alla fine degli anni Cinquanta, con il suo modo di vestire, fece venire voglia a Renato Carosone di comporre «Tu vo’ fa l’americano», anche ieri sera si è presentato sul palco accompagnato dall’Orchestra Italiana. «Quindici grandi solisti», ha spiegato lui, tra i quali Gegè Telesforo alle congas e alle percussioni. Ma meritano una citazione anche Barbara Buonaiuto (solo voce, cori), Gianni Conte (solo voce, cori) Mariano Caiano (solo voce, chitarra acustica) Gennaro Petrone (mandolino, solo voce), Salvatore Esposito (mandolino) Nunzio Reina (mandolino, solo voce) Michele Montefusco (chitarra classica e acustica, cori) Paolo Termini (chitarra classica e acustica, cori), Nicola Cantatore (chitarra elettrica e acustica), Claudio Cavalli (fisarmonica, cori) Massimo Volpe (piano, tastiere); Massimo Cecchetti (basso elettrico e acustico), Roberto Ciscognetti (batteria) e infine Peppe Sannino (timbali, percussioni, cori).
E il repertorio? Solare, tutto meridionale o quasi. Tra chiacchiere e canzoni lo showman di Foggia ha subito rotto il ghiaccio per quello che lui definisce «un concerto sentimentale». E infatti Arbore ha ricordato i suoi maestri, prima di tutti Renato Carosone, da cui ha ripreso «O Saracino» in un’inedita chiave reggae. Poi Totò, omaggiato con le immagini dei suoi film (ad esempio «Totò Peppino e la Malafemmena») e con la stessa famosissima, «Malafemmena».
Una perfetta ouverture per poi proporre le «canzoni napoletane... (quelle belle)», tanto per riprendere il titolo dell’ultima tripla raccolta di Renzo Arbore e della sua Orchestra Italiana, pubblicata lo scorso anno. Un cofanetto speciale in cui sono raccolte tutte le loro canzoni (registrate in studio) che, tra il 1992 e il 1998, hanno dato vita a cinque fortunatissimi album. Tutti brani famosissimi: da «Reginella» a «Luna Rossa», da «Voce ‘e notte» a «Aummo aummo», da «Dicitincello vuje» a «Na sera ‘e maggio», da «I’ te vurria vasà» a «Torna a Surriento», da «O surdato innamorato», a «Pecchè nun ce jammo in America», da «A tazza ’e caffè» a «Come facette Mammeta».
Ma Arbore, strizzando l’occhio alle aspettative dei suoi fan, spazia dal classico napoletano al jazz, passando per lo swing e il blues. E tra pezzi nuovi e melodie storiche, l’ex deejay ci infila anche «Il clarinetto», «Il materasso» e «Ma la notte no», le canzoni lanciate nelle sue trasmissioni in tivù e anche «Tanto pe’ cantà» e «Dove sta Zazà», ormai entrate nell’immaginario collettivo. Canzoni, anche queste, che forse non tramonteranno mai e che, - come non si stanca di ripetere Arbore - nel 2050 sopravivranno alla brutta immagine fatta di ecoballe e morti ammazzati. Potenza della musica. Quella bella.