Commento
di Anthony Muroni
Una città che aspira a essere una capitale nel Mediterraneo non può che dirsi cosmopolita e multietnica. Non solo in ossequio all'articolo 8 della Costituzione (“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge, quelle diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano”), ma anche per un principio di civiltà. Come si può tollerare che i fedeli musulmani siano costretti a pregare stendendo i loro tappeti lungo le strade della Marina, senza consentire loro di esercitare il giusto diritto di esercitare la propria fede in maniera dignitosa? Sta alla politica decidere se sarà necessario costruire una moschea o se si potrà arrivare ad assicurare l'esistenza di un luogo dignitoso privilegiando le altre situazioni.
Nel frattempo la polemica sulla concessione di un padiglione della Fiera per celebrare la fine del Ramadan appare quasi surreale. Qualcuno obietterà che l'intercessione del Comune ha fatto sì che l'evento si potesse svolgere a costo zero, diversamente da quel che accade per altri tipi di manifestazione. Ma, mentre si discute di diritti civili, la questione in sé rischia di trasformarsi in una polemica di retroguardia.
Altra storia è quella di un eventuale impegno dello Stato o delle istituzioni locali nella futura realizzazione di un luogo di preghiera. In un tempo di crisi, nel quale persino le esenzioni (o i privilegi) riconosciute attraverso un Concordato alla Chiesa cattolica vengono messe in discussione, non si può certo chiedere ai cittadini di farsi carico della costruzione, dell'individuazione di un terreno o del pagamento di un canone d'affitto per realizzare un tempio destinato ai musulmani. Anche se, in verità e almeno fin qui, nessuno l'ha chiesto.