Proseguono a Cagliari, in città e al Poetto, le riprese del lungometraggio
Con Cate e Luna nei luoghi resi celebri da Atzeni
La mitografia dello scrittore viene esplorata con la telecamera dal regista dorgalese
GIANNI OLLA
CAGLIARI. Cate e Luna, le adolescenti del film “Bellas Mariposas”, in lavorazione da quasi un mese, sono due dodicenni di Selargius (Maja Mulas) e di Assemini (Sara Podda), che frequentano la seconda media. Visino pulito, sorridente, entusiasta, almeno nelle pause di una lavorazione che loro stesse giudicano faticosissima, trasmettono l’idea di una velocissima evoluzione delle protagoniste del romanzo di Atzeni. La marginalità sociale, messa in pagina dallo scrittore quindici anni fa, potrebbe essere finalmente scacciata e schiacciata da un immaginario che aspira ad una vita diversa. Ma naturalmente, non c’è luogo meno adatto per decifrare un film che il set in cui, frammento dopo frammento, si sta realizzando. Maja e Sara sono ancora personaggi della realtà: sostengono di aver fatto i provini per passione e curiosità, di aver letto con piacere, anche se su indicazione del regista, il romanzo di Atzeni. Se poi anche loro, come nel romanzo, vogliono fare le dive, è un desiderio che per ora rimane segreto.
Invece i luoghi delle riprese possono avere un forte effetto connotativo. Scartando il già noto e canonico (nel film e fuori) quartiere popolare di Sant’Elia, con i suoi palazzoni e le sue strade affollate di curiosi che quasi si arrabbiamo, nei primi giorni di lavorazione, perché l’autobus del CTM, noleggiato dalla produzione come luogo centrale delle riprese, non è disponibile per loro, ci ritroviamo in Piazza San Bartolomeo, un reperto storico di origine secentesca (come la chiesetta che dà il nome alla piazza) che sta tra il centro e la periferia, ovvero sulla strada per il Poetto. Il luogo è stato scelto come “tappa” del viaggio metropolitano di Cate e Luna e nelle pause della lavorazione, alcuni abitanti discutono di quello strano termine, “mariposas”, che alcuni pensano sia un ibrido poco legato allo “slang” cagliaritano. Insomma, una definizione poetica e non linguistica.
Lontano dal caos il produttore Gianluca Arcopinto dichiara che, quando Salvatore Mereu (peraltro coproduttore con la sua società “Via col vento”) gli fece leggere il romanzo di Atzeni - si era al montaggio di “Sonetaula” - si disse d’accordo sulla possibilità di ricavarci un film. Benché ambientato quindici/vent’anni prima, pensò - come del resto Salvatore Mereu - che forse, l’obbligatoria modernizzazione temporale avrebbe potuto trasformarlo in un apologo sulla marginalità metropolitana che stava venendo fuori anche in altre pellicole ambientate nel meridione, non ultima “Gomorra”. Si concede anche una battuta affettuosa verso il suo protetto, in cui ha sempre avuto fiducia fin dal primo lungometraggio, “Ballo a tre passi”: «È il primo film di Mereu in cui non ci sono pecore». Il che è però anche una sottolineatura del nuovo amore per Cagliari, che lo ha coinvolto personalmente, dopo aver contagiato il regista che sta seriamente pensando di farne la sua base familiare oltre che lavorativa, anche dopo questa esperienza.
Un altro luogo simbolico è ovviamente il Poetto, ma lo spazio specifico dove si sono girate altre sequenze importanti è piuttosto particolare: una striscia di sabbia tra il Lido - lo stabilimento della Cagliari bene, ieri più di oggi, almeno a livello mitografico - e la Marina Militare. Denominato con il disprezzo “il buco” è stato sempre frequentato da pochi “bagnanti liberi”, che sopportavano la claustrofobia del gigantesco muro del Lido, un tempo allungato per decine di metri sul mare: un ricordo infantile che compare spesso negli scritti di Atzeni. Oggi, pur con il paesaggio meno chiuso, le due adolescenti di Mereu avanzano, precedute dalla macchina da presa in azione, verso una battigia affollatissima di comparse e veri bagnanti, ai quali viene data in continuazione l’indicazione di non “essere curiosi”. Ovvero di fare davvero i bagnanti, senza guardare verso la camera quando questa si sposta per inquadrare il mare piatto del post maestrale cagliaritano.
Il terzo luogo che abbiamo scelto è invece un “topos” centrale del romanzo, non a caso ambientato in quella che Salvatore Mereu chiama la “Times square” di Cagliari, Piazza Repubblica. Di fianco alla stazione del metro, con la canicola tardiva post ferragostana e un traffico che i vigili urbani fanno fatica a bloccare, il regista si prepara ad inquadrare Cate e Luna che attraversano la via Dante con un gelato in mano (il gelato è un po’ il simbolo della felicità, nel romanzo come nel film): il piano sequenza si conclude sulla panchina della piazza. Le adolescenti vengono avvicinate da un giovane che sembra voler scherzare ma che poi mostra un biglietto di banca che servirà a compensare una prestazione sessuale. Come finisce la sequenza non lo riveliamo - ma i lettori di Atzeni conoscono il seguito - anche perché Mereu taglia su un piano ravvicinato del ragazzo. Ma è evidente che anche seguendo le riprese giorno per giorno non si capirebbe il film, ma piuttosto il clima che cresce attorno al piccolo evento. Quanto al risultato finale, leggendo “Bellas Mariposas” ci si immagina non dico il realismo di Ken Loach, ma quello poetico-fantastico dei fratelli Dardenne. Però Mereu ha già scelto, e molto tempo fa, il suo modello iper e surrealista: “Zazie nel metro” di Malle, ricavato da un celebre romanzo di Queneau, uno scrittore che, secondo Barthes, lottava con la letteratura. Come Sergio Atzeni.