TEATRO. Raffaella Azim ha aperto a Cagliari “La notte dei poeti”
Vedi la foto “Creatura di sabbia” nasce tra i suk e le ansie anticolonialiste. È la storia di una donna e di una società. Scava nelle cronache del Marocco, “cammina” nel futuro. Ma soprattutto fruga dolorosamente nell'intimo. Forse è un sogno, forse un enigma. Chi racconta? Chi ascolta? Le pagine consumate di un diario, le parole cancellate alla fine dai raggi della luna, raccontano di Ahmed. Il nome è di uomo, il corpo di donna. Dopo sette sorelle, vergogna su vergogna, il padre voleva assolutamente un maschio. È nata un'altra femmina. Ma maschio deve essere, a dispetto della sorte, e dell'anatomia.
La bimba non può che accettare: sarà uomo, fascerà il petto con le bende per arginare i seni, nasconderà il sesso. Ma non potrà evitare i pensieri, le pulsioni. La contraddizione del doppio. Un ermafroditismo lacerato che intreccia solitudine estrema, viaggi nello spirito e nei luoghi, il distacco da sé e la riconciliazione.
Quel diario esiste o magari è un'invenzione. È nelle mani di un cantastorie che girà per le città, raccogliendo pubblico e variazioni sull'intreccio. Altri dicono, persino parenti. Ma chi possiede la verità? La storia si perde nel tempo e nella geografia, generando comunque attenzione. I depositari della memoria si moltiplicano e si confondono, quasi richiamano, come in un coro senza età, Omero e Borges. Poi, in Notte fatale , che riprende il primo romanzo, è lo stesso Ahmed a svelare. E intanto, pagina dopo pagina, le parole si sono sciolte per coagularsi nella poesia.
Sono molti i veli sovrapposti che coprono i due libri di Tahar Ben Jelloun, l'ultimo portatore della fiaba. Raffaella Azim, nello spettacolo che ha aperto la “Notte dei poeti” al Teatro civico di Cagliari, solleva soprattutto quello del cuore femminile. La donna e la vitalità sofferente. Ci riesce col suo registro tradizionale e intenso, col tono forte e fragile che è proprio del libro. Non è facile tradurre teatralmente il linguaggio denso, simbolico, evocativo di Ben Jelloun. Una “pesantezza” emozionante, che l'attrice trasforma in un frammento leggero. Il soffio di un destino sospeso. Come se fosse necessaria una nuova puntata, per una vicenda che non appartiene soltanto alla ragazza marocchina.
In scena scorrono le immagini della nascita, della costrizione, del matrimonio con Fatima, altra donna incompleta ma capace di intuire il segreto. Poi l'autosegregazione in una stanza, la corrispondenza con un invisibile amico, le fughe: il circo, il console cieco, la reazione all'ostilità che porta la giovane in carcere. E infine, dono impagabile, una lettera col disegno delle onde. E la parola “Oceano”. Il talismano di Ahmed. Un orizzonte.
Come in un viaggio di iniziazione, in quell'errare che è una forma di esilio nel mezzo della violenza, la Azim scioglie il chador, facendo ondeggiare la chioma fulva. Dopo, quasi danza su un bordo immaginario, l'orlo della libertà. Le ombre oscillano sullo sfondo, a ricreare l'oscuro e il chiaro, tra le musiche di Ivan Gambini, mentre i fogli del diario sono mani che accarezzano e bruciano il corpo. A 25 anni tutto può essere perso o conquistato. Compresa «la libertà di scegliere la propria solitudine». E «io non ho niente da perdere», è il sussurro. Contro la forza dei tabù, la brutalità di una società, Ahmed continuerà ad essere il frutto che lotta per uscire dalla scorza. «Non smetterò di camminare, seguendo l'odore di menta fresca».
Roberto Cossu