Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«La mia vita da schiava»

Fonte: L'Unione Sarda
7 luglio 2011

 

Dalla Libia con un barcone e poi sui marciapiedi in Campania
La fuga al Nord, l'ingresso in comunità e la rinascita in Sardegna

In Sardegna ha trovato il suo piccolo paradiso: una comunità che si prende cura di lei e dove la violenza e il terrore sono un ricordo che qualche notte diventa incubo. Rosemary è nigeriana, ha poco più di trent'anni. Suo padre ha avuto quattro mogli e nove figli. Da sua madre solo lei e un fratello. Morto il papà, è stata affidata a un parente. «Non ho neppure finito le scuole elementari perché non c'erano soldi». Così, a otto anni, già faceva la domestica. «A 24, chi mi ospitava disse che era ora che mi sistemassi. Mi portò a casa di un uomo e mi consegnò a lui. Aveva 20 anni più di me, non mi sposò, e vivevo con le mogli e i loro figli. Mi maltrattavano perché ero la più giovane. Ho avuto due bambine che oggi hanno cinque e tre anni. Quando la più piccola aveva circa un anno, stanca di sopportare tante angherie, tornai da mia madre. Non mi accolse bene. Voleva che tornassi in quella casa. La supplicai di tenere almeno le mie figlie e io mi sarei data da fare per contribuire economicamente. Andai ai mercati generali a caricare la spesa dei ricchi. Ho anche chiesto l'elemosina pur di sopravvivere. Ai mercati, mi si avvicinò un uomo, proprietario di un grande negozio. Disse di avermi notata da tempo e che scaricare non era lavoro da donna, soprattutto per una minuta come me».
Non era un benefattore ma un mercante di esseri umani. «Affermò che gli facevo tenerezza e di volermi aiutare. Mi propose un viaggio in Libia dove avrei trovato un lavoro migliore. Con lui e altre tre ragazze prendemmo il bus. Lungo il percorso ci fermammo due settimane in una casa. Che, ora lo so, serviva ad ospitare le giovani ingenue e disperate che avevano avuto la disgrazia di lasciare il proprio paese inseguendo un futuro migliore».
Con un camion arrivammo poi a Tripoli. «Andammo a casa di una nigeriana alta e grossa. Lui rimase con noi tre giorni. Subito dopo scoprimmo che quella donna faceva prostituire le sue ospiti. Gli uomini venivano a casa, sceglievano la preferita e poi facevano quello che volevano. Io non piacevo, perché pensavano fossi una ragazzina. Non facevo nulla per essere attraente perché non volevo mettere il mio corpo a loro disposizione».
Scarsa produttività e immediatamente scattarono i provvedimenti disciplinari della maman . «Si arrabbiava moltissimo, mi picchiava urlandomi che rivoleva i soldi spesi per comprarmi. Già, ero stata venduta. Come un animale e dovevo rendere, ripagare il capitale investito». Botte e minacce per un mese. Poi la punizione più dura. «Mi disse che dovevo andare a Napoli dove avrei lavorato da sua sorella, parrucchiera per africani».
Prima della partenza un rito wodoo che a noi può apparire ridicolo. Non a lei, però. «Prese le mie mutande, i peli delle ascelle e del pube, capelli. Mise tutto in un pacco e lo spedì in Nigeria. Tutto ciò implicava la mia totale sottomissione. Se a Napoli mi fossi ribellata, sarei morta. Lei voleva assolutamente indietro i suoi soldi.
«Partii da Tripoli su un barcone. Arrivata a Lampedusa, dopo una settimana fui trasferita a Siracusa dove rimasi un mese. Poi uscii dal campo. Mi pento amaramente di non aver segnalato allora la situazione in cui mi trovavo. Alla stazione centrale di Napoli mi venne a prendere una donna nigeriana che mi portò a Castelvolturno in un'abitazione dove c'erano altre giovani. La donna mi informò che le dovevo 40 mila euro. Come potevo restituirglieli? Lo capii una sera. «É arrivato il momento di andare a lavorare", disse. Era notte. Mi accompagnò in auto in una zona di periferia e mi affidò a un'altra ragazza perché mi spiegasse come dovevo comportarmi. Guadagnai solo 15 euro. Mi disse che non bastavano neppure per i preservativi, che per restituire quello che le dovevo ci voleva ben altro. In due settimane le consegnai 85 euro. Non era molto, considerando che ogni lunedì pretendeva 50 euro per la spesa, 250 per l'affitto. E ogni mese 30 per il gas in bombola, 40 per l'acqua, 20 per la monnezza. In un anno sono riuscita a incassare 3.450 euro.». Nulla. «Era sempre furiosa, mi picchiava, mi feriva con un coltellino e ho ancora le cicatrici».
A questo punto Rosemary capisce che non ha scelta: scappare o subire una vita infame fatta di violenze e umiliazioni. Trova il coraggio e decide di fuggire al Nord. Un cliente l'aiuta dandole un po' di soldi. «Corsi alla stazione e presi il primo treno in partenza». Scende in una città del Veneto dove due ragazze si offrono di darle una mano. Erano due prostitute italiane. Poi la cacciarono per scarso rendimento. Per una settimana dormì alla stazione mangiando quel che le offrivano. Poi chiamò una suora. La scelta giusta.
Nel frattempo in Nigeria la casa della madre venne più volte devastata da uomini dell'organizzazione. Rose tenne comunque duro fino a quando . un'anziana signora l'accompagnò in una comunità. Dopo qualche tempo il trasferimento in un centro di assistenza in Sardegna dove cominciare a ricostruirsi una vita. Ora che finalmente può. Ora che è libera di scegliere.