Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Pubblica o privata, la sfida sull’acqua

Fonte: La Nuova Sardegna
8 giugno 2011



Affidamento della gestione e determinazione delle tariffe: ecco su cosa si vota




ROMA. I primi due quesiti del referendum del 12 e 13 giugno riguardano la gestione dell’acqua pubblica. L’intento dei promotori della consultazione popolare, che chiedono agli elettori di votare con due “sì”, è di fermare la privatizzazione dell’acqua e di far rimanere i profitti fuori dalla sua gestione.
Il primo quesito propone l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008, relativo alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici (quindi non solo acqua, ma anche rifiuti e trasporti) di rilevanza economica. Nello specifico, il decreto dell’ex ministro Ronchi (approvato dal Parlamento il 19 novembre 2009) affida ai privati la gestione del servizio idrico. Il secondo quesito propone di abrogare il comma 1 dell’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006, norma che consente al gestore di ottenere profitti sulla tariffa che è pari al 7 per cento (quota garantita) del capitale investito.
Per i sostenitori del sì, l’acqua è un bene comune che va gestito dal pubblico e sul quale non si può guadagnare caricando sulle bollette dei cittadini una remunerazione (quel 7%) che non verrà reinvestita per migliorare la qualità del servizio. Per i sostenitori del no invece, la rete idrica nazionale ha bisogno di investimenti enormi (circa 60 miliardi di euro), fuori dalle possibilità dello Stato, ed il guadagno è legittimo a fronte di un capitale investito.
Per “abrogare” una norma, cioè per far sì che non abbia più valore giuridico (che è la richiesta dei quesiti) bisogna votare “sì”. Se invece si vuole mantenerla in vigore, nella scheda referendaria bisogna barrare il “no”. Quindi, per il quesito numero 1 (scheda rossa), si deve votare “sì” se si è contro la privatizzazione dell’acqua, “no” se si è a favore della legislazione attuale. Per il quesito numero 2 (scheda gialla), si deve votare “sì” se si è contro la normativa che consente di guadagnare sull’erogazione dell’acqua, mentre bisogna barrare il “no” per mantenere la legge attuale. (a.d’a.)

 

«Non si può mercificare un bene primario»



Alex Zanotelli L’acqua è la madre per tutti è vita La Chiesa si schieri

ANNALISA D’APRILE

ROMA. «Votare sì ai quesiti sull’acqua vuol dire prima di tutto dire sì alla “madre”, sì alla vita». Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, sempre in prima linea nelle battaglie per la pace, la non violenza e la giustizia solidale, avverte «l’acqua non può essere mercificata: è un bene primario».
La Chiesa ha chiesto di non “politicizzare” i quesiti. Ma cosa consiglia ai cattolici?
«L’atteggiamento è molto chiaro: l’enciclica sociale Caritas in Veritate n. 27 del Papa dice che l’acqua è un diritto universale di tutti. Più ambigua la posizione della Cei che non si è espressa, anche se molti vescovi hanno rotto il riserbo. Sono sorpreso che la Chiesa non si sia schierata».
La rete idrica nazionale ha bisogno urgente di investimenti (si parla di 100 miliardi di euro), cui lo Stato non può far fronte. I privati risolverebbero il problema?
«No. È vero, abbiamo 250mila chilometri di rete idrica e quasi la metà dell’acqua, circa il 40 per cento, è persa: ci vuole un investimento della fiscalità pubblica. E non mi si dica che non ci sono soldi. Lo Stato nell’ultimo bilancio ha investito 25 miliardi in difesa, neanche fossimo invasi dagli ufo. Ci vuole una politica che investa non nel Ponte di Messina, che invece di unire due coste unisce due cosche, ma in un bene primario come l’acqua».
È possibile gestire questa risorsa tra pubblico e privato?
«No perché il privato vuole guadagnare. Togliere il profitto da un bene che non può avere rilevanza economica è il cuore di questo referendum».
Per i sostenitori del No l’acqua resta pubblica, si liberalizza solo il mercato. È così?
«È una balla. L’acqua è un bene raro già oggi, ecco perché le multinazionali vogliono metterci le mani sopra».
Cosa accadrà se non si raggiungerà il quorum?
«Lo raggiungeremo. Altrimenti faremo di tutto: i giuristi stanno già lavorando per attaccare la costituzionalità della legge».

 

«Solo la gara assicura servizi e prezzi migliori»



Franco Bassanini Gli amici del Pd lo sanno, così si ingannano gli elettori

ROMA. «I miei amici del Pd fino a qualche mese fa erano d’accordo con la gestione dei servizi, acqua, rifiuti e trasporti, ai privati. E dicevano: ma sì, cosa ci frega, tanto il quorum non si raggiungerà». Franco Bassanini, professore di diritto costituzionale, ex ministro nei governi Prodi e D’Alema, critica il partito e Bersani perché «hanno pensato di fare del referendum una battaglia politica, ma il quorum ci sarà e allora saranno cavoli loro».
E al leader dell’Idv Antonio Di Pietro, Bassanini contesta di «aver ingannato gli elettori e persone in buona fede come padre Zanotelli, ma nessuno ha fatto leggere loro la norma».
Pensa che i comitati promotori del referendum abbiano fatto una campagna di disinformazione?
«Sì, è così, perché a differenza di quanto detto la privatizzazione non c’entra. La legge Ronchi-Fitto stabilisce che l’acqua è un bene pubblico, che le strutture restano pubbliche e che le tariffe vengono stabilite dal pubblico: è l’ente pubblico, il comune, che mette in gara la gestione del servizio».
Il timore maggiore per l’opinione pubblica è l’aumento incontrollato delle bollette, non c’è il rischio di speculazioni?
«No perché la legge che si vuole abrogare dice che a vincere il servizio della gestione idrica sia l’impresa più efficiente, quella che garantisce prezzi e servizi migliori. Questo Bersani e gli altri leader del Pd lo sanno perfettamente e fino a qualche mese fa erano anche d’accordo con la gestione ai privati. Poi ha prevalso la strumentalizzazione politica. Con l’idea di dare un altro colpo al governo Di Pietro ha nascosto la verità alla gente che non sa cosa sta per votare. E anche il governo Berlusconi ha sbagliato a non informare meglio su questa legge, hanno pensato che tanto il quorum non sarebbe stato raggiunto».
Se vincerà il “sì” cosa succederà?
«I comuni non sono in grado di far fronte alla gestione diretta, non hanno le risorse. Quindi, siccome il quorum ci sarà e vincerà il sì, penso che tempo un anno e si farà un tacito accordo per fare finta che il referendum non ci sia mai stato. Ricordate quello sui finanziamenti ai partiti? Ecco...sarà così». (a.d’a.)