Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Il Comitato del Sì: «No ai privati dentro Abbanoa»

Fonte: La Nuova Sardegna
8 giugno 2011





Il fronte del No senza sostenitori ufficiali in Sardegna, ma in altre regioni promette qualità e efficienza nel servizio

CAGLIARI. A farla spiccia i due referendum di domenica e lunedì sull’acqua potrebbero chiudersi in fretta. Alzi la mano, chi vuole la privatizzazione assoluta di un «diritto universale»? Nessuno. Chiunque osasse, brucerebbe all’inferno. Lo ha detto la Chiesa, dopo aver santificato l’acqua come «madre e sorella dell’umanità».
Se la domanda fosse così semplice e secca, aprire i seggi fra quattro giorni sarebbe persino inutile. Perché a favore dell’acqua privatizzata al cento per cento voterebbero - senza rischio di smentita - soltanto gli sciacalli, eredi di chi diecimila anni fa ha cominciato a fare lo stesso (e nessuno li ha ancora fermati) col grano, altro bene universale scippato.
Per fortuna i due referendum sull’acqua non sono così grossolani nelle domande. Hanno quesiti molto più complessi, perché, come spesso accade nello Stivale, una legge, in questo caso la «Galli-Ronchi», da abrogare o far sopravvivere, è zeppa comunque di interpretazioni. Eppure qui almeno una certezza c’è da subito ed è inattaccabile: i privati sull’acqua non potranno mai spadroneggiare sopra, sotto e neanche intorno a un solo barile. Sarebbe contronatura, almeno in Occidente. In Africa, disgraziatamente per gli africani, è un altro discorso. Purtroppo.
Chiarita la prefazione, il primo referendum è quello che mette al centro della scheda elettorale non tanto l’acqua in sé, bensì la gestione della distribuzione casa per casa. E ancora più nello specifico, a essere in bilico oggi è l’obbligo che la «Legge Galli-Ronchi» impone alle società in house, nell’isola ad Abbanoa, di mettere all’asta entro dicembre almeno il quaranta per cento del capitale. Il voto popolare è proprio su questo aut-aut.
Se vinceranno i No, Abbanoa e le altre aziende pubbliche nazionali dovranno cercarsi in fretta un partner, dovranno farlo e basta, con tutto quello che si scatenerà subito dopo, a cominciare dal sicuro balzo in avanti delle tariffe. E sarà questo il primo effetto indesiderato del passaggio dagli equilibri sociali («L’acqua appartiene all’umanità») a quelli molto più ghiacciati della partita doppia e degli affari: «L’acqua è soltanto una merce di scambio».
Se vinceranno invece i Sì, l’obbligo di avere un partner privato decadrà e Abbanoa potrà continuare a essere quello che è, una Spa pubblica, con gli stessi azionisti di adesso, la Regione e 342 comuni su 375. Oppure, se vorrà, in futuro potrà cercarsi anche una stampella esterna ma soltanto se lo vorranno i soci. Ma un voto di questo tipo oggi appare assai improbabile.
È questo il punto esatto su cui favorevoli e contrari all’abrogazione della legge si fronteggiano da settimane. Dentro c’è anche la sfida sul battiquorum, cioè il cinquanta per cento degli elettori più uno, vetta da raggiungere entro lunedì altrimenti il referendum non sarà valido. Il comitato dei «Due Sì» l’asticella costituzionale la vuole superare di slancio. «È un dovere civile andare oltre il 50+1», dice Giovanni Pinna, portavoce in Sardegna del gruppo nazionale che, insieme all’Idv e alla Sinistra radicale, ha raccolto le firme necessarie, un milione e quattrocentomila, per proporre i quesiti referendari.
«Obbligo o non obbligo di farli entrare - è il suo ragionamento - l’irruzione dei privati nella gestione dell’acqua non deve avvenire né adesso, né mai. Non possiamo permettere che qualcuno infili, dalla porta o dalla finestra, anche soltanto il sospetto del profitto insinuato in un servizio che deve invece rimanere pubblico. Qualunque altra soluzione, porterebbe alla rovina della convivenza sociale che conosciamo». Dunque, il rischio c’è - dicono nella sede del Comitato - e sarebbe apocalittico: «Una volta dentro, prima o poi questi avvoltoi farebbero comunque la voce grossa dei padroni e si metterebbero subito a tartassare la gente, soprattutto quella che sta peggio».
C’è dell’altro: «Su un argomento delicato come questo - aggiungono i referendari - non si può andare avanti col bilancino delle maggioranze e delle minoranze disegnate a tavolino. Non ci possono essere ambiguità: l’acqua deve restare sociale dall’inizio alla fine. Le furbate per far entrare comunque il mondo degli affari in Abbanoa o da altre parti, vanno spazzate via definitivamente. Ecco perché bisogna raggiungere il quorum e mobilitarsi in massa per la vittoria dei Sì».
Domanda: ma quelli del Comitato hanno ragione su tutti i fronti, oppure ci sono una o due prove che potrebbero mettere in dubbio le loro sicurezze? Nella penisola esiste un Gruppo del No, è guidato dal giornalista economico Oscar Giannino, che ha al seguito una decina di professori universitari nazionali e alcuni parlamentari del Pd, nessun sardo, in dissenso con le indicazioni del segretario Bersani, tutte per il Sì.
Sarà per la traumatica convivenza con Abbanoa - società contestata da tutti, azionisti e utenti - ma il comitato di Giannino nell’isola non ha attecchito. O almeno nessuno degli affiliati (se esistono) è uscito allo scoperto, con paroloni come “efficientismo contro il carrozzone pubblico”, oppure “investimenti milionari per azzerare le perdite della rete e aumentare i vantaggi”, o ancora “il pubblico da solo non potrà mai farcela e alla fine metterà le mani nelle tasche dei contribuenti per far quadrare i conti”. Di questo Bignami in Sardegna non c’è traccia, neanche dalle parti di Abbanoa. Fino all’esito del referendum il consiglio di amministrazione della Spa ha preferito soprassedere all’ipotesi di apertura (obbligata o meno si vedrà) ai privati.
Il presidente Pietro Cadau lo conferma: «Abbiamo scelto di non entrare nello scontro politico. Non potevamo, siamo parte in causa. Anche se abbiamo pronto uno studio su quanto ci converrà fare in qualunque caso». Per il momento, sulla bozza non ci sono anticipazioni: l’elettore deve essere lasciato libero di pensare, non può essere influenzato.
Certo, in Sardegna, i referendum finiranno per essere anche un voto su Abbanoa, il cui futuro è intrecciato con quello dell’Autorità d’ambito. L’Ato è quelll’organismo politico che finora ha dato il via libera agli investimenti e alla tariffa unica, ma ha il destino segnato: scomparirà fra meno di un anno, anche se poi sarà rifondato, sotto altra veste, dal Consiglio regionale.
«È giusto che il referendum sia anche un voto sui primi sei anni di Abbanoa», dice il presidente della provincia di Nuoro, Roberto Deriu, da sempre fra gli oppositori più duri al gestore regionale com’è organizzato adesso. Poi aggiunge: «Finora la Spa pubblica ha provocato soltanto disastri. I costi per gli utenti sono aumentati, da 0.95 centesimi a 1,46 euro per ogni metro cubo in cinque anni. Nel frattempo, il servizio non è migliorato e Abbanoa si è indebitata all’inverosimile. Oggi la sua’esposizione con le banche supera il mezzo miliardo e non so se basteranno i duecento milioni di cui sento parlare, per rimetterla in piedi».
Ecco perché domenica e lunedì c’è anche aria di spallata. Ma prima bisogna superare un ultimo ostacolo: la diga del quorum.

 

Come il fronte del Sì boccia la percentuale fissa di rincaro concessa ai privati

«Ingrasserà gli speculatori»

Le imprese replicano: «Senza il 7 per cento non c’è l’affare»




CAGLIARI. Il secondo referendum sull’acqua è meno filosofico del primo. Al centro del quesito c’è una sola parola: profitto. È quel sette per cento che un comma del «Codice dell’Ambiente» - non ancora applicato - permette al gestore del servizio di caricare sulle tariffe un profitto «comunque garantito rispetto al capitale investito», senza però dare in cambio una «migliore qualità del servizio».
Il Comitato dei «Due Sì» non ha dubbi: «Con l’abrogazione dell’articolo - dice Giovanni Pinna, portavoce del gruppo in Sardegna - sarà eliminata qualsiasi possibilità a chiunque di fare profitti sull’acqua». O per dirla come il fronte del No: senza la certezza del sette per cento nessun privato sarebbe interessato ad entrare nella gestione (anche mista) del servizio idrico.
Sta di fatto che quelli del Sì non sono contrari soltanto al «profitto garantito», ma sostengono che «la percentuale del sette per cento in più sulle tariffe è stato il “cavallo di Troia” che ha spalancato ai privati le porte delle società pubbliche e dunque vanno richiuse subito per evitare che il regalo alle imprese ricada sugli utenti».
Qualcuno si è lanciato in previsioni e ha stimato che non è tanto la percentuale in sé a essere un affare, quanto la certezza che il partner esterno avrà di poter contare su un contratto trentennale. Sette moltiplicato trenta: è questo il segreto del vero profitto, che i referendari hanno smascherato. (ua)

 

«Il gestore unico va diviso in tre»

L’idea è del presidente della Provincia di Nuoro




CAGLIARI. Qualunque sia l’esito del referendum sull’acqua, Abbanoa così com’è non può andare avanti. A dirlo con insistenza è il presidente della provincia di Nuoro, Roberto Deriu. «Rischiano di far più danni i conti del gestore unico, che il disavanzo della spesa sanitaria», è la profezia di chi non vuol vedere sparire Abbanoa. Ormai il disavanzo della Spa è una voragine e i 50 milioni in arrivo dalla Regione non serviranno neanche a soddisfare le pretese delle banche. Ci vorrebbe quattro volte tanto, 200 milioni, per ricapitalizzarla e farla respirare. «Ma servirebbe solo ad allungare l’agonia», dice Deriu. Mentre negli uffici di Abbanoa sanno bene che senza i soldi della Regione sarà morte sicura, visto che finora dai Comuni-soci è arrivato poco o nulla, e che tra l’altro nella lista nera degli utenti morosi ci sono proprio gli stessi Comuni. Insomma, la società pubblica rischia davvero di essere un pozzo senza fine: senza i privati, sarà sempre in rosso, è così? «Non c’è bisogno di cedere quote - dice Deriu - basta dividere Abbanoa in tre: nord, sud e centro» Ma non ci sarebbe così il rischio solo di triplicare il problema. «Assolutamente no - continua - Studi accurati dicono che la gestione ottimale, come vuole la legge, si ottiene se il bacino di utenza è inferiore ai cinquecentomila abitanti ed eroga 50 milioni di metri cubi in un anno. In altre parole, per arrivare a un risultato accettabile, ci vogliono tre Abbanoa gemelle. Soltanto così ogni costola della società-madre riuscirebbe a rientrare in quei parametri indispensabili per garantire l’efficienza del servizio. E questo vorrebbe dire anche più giustizia nelle tariffe, con Comuni, a quel punto, aggregati secondo criteri omogenei». (ua)