Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

La rabbia dei 10mila tartassati

Fonte: La Nuova Sardegna
13 maggio 2011

 
La protesta paralizza Cagliari, la Regione stanzia aiuti e chiede lo stato di crisi

Artigiani e commercianti ancora in piazza contro Equitalia



Tra becchini e manichini in mutande per le vie della città le storie di chi rischia di finire sul lastrico

CAGLIARI. Ventimila no, ma più di diecimila sì. Anzi, chissenefrega del numero e di quanti fossero, in piazza, gli Artigiani liberi e le Partite Iva. Erano in molti e hanno marciato dalla Fiera al Consiglio regionale. Sempre indiavolati, soprattutto quelli del Sulcis, ma pacifici. Neanche un guscio, lanciato sul palazzo del loro nemico pubblico numero uno, Equitalia. Bravi, da lieto fine, questo: una lenzuolata di aiuti dalla Regione. Al resto, se vuole, dovrà pensarci il governo.
Attenzione, però. Prima di dire se i tartassati di Sardegna davvero hanno vinto questa guerra santa in difesa della pagnotta e contro le cartelle più folli al mondo, bisognerà aspettare Tremonti. Il ministro dell’economia va ancora convinto, dovrà pensarci Cappellacci, che c’è un’isola alla fame, popolata com’è da settecentomila indigeni messi in ginocchio dal Fisco. Perché se da Roma non arriverà in fretta la moratoria, con i debiti fiscali in ghiacciaia almeno per un anno, il mezzo chilometro abbondante che marcia avrà vinto qualcosa, un sacchetto di euro dalla Regione, ma non certo il primo premio. Ed è solo quello, il decreto, il salva-vita per quelli finiti in mutande. Lui, prima di tutti: è mister manichino. È il simbolo del contribuente spolpato, con addosso soltanto quello che gli è rimasto: un costumino da bagno, demodé. Il resto, case, auto e soldi, glielo ha strappato via un grigio esattore di Stato. Quelli di Sanluri lo hanno issato sull’unico 4x4 che Equitalia ha risparmiato a un piccolo costruttore indebitato con l’Agenzia delle entrate e altre maledizioni varie, il resto se l’è comprato all’asta un ex infermiere pensionato, che dove abbia preso i soldi nessuno lo sa. Dicono che sia la mano armata di alcuni siciliani-sciacalli, sulle disgrazie altrui ci sguazzano, è roba buona per la magistratura. Qui, in viale Diaz, sono tutti così, disperati, dal primo all’ultimo, compresi i bambini al seguito, che, come capitato a Nuxis, non possono più godere dell’amato porcellino-salvadanaio. Spaccato, i soldini servivano a babbo e mamma, per pagare l’ultima cartella, altrimenti bisognava dire ciao all’appartamento con il mutuo ancora da pagare. Di queste storie, molto peggio delle pagine del Libro cuore, è zeppo il corteo. C’è Pietro di Teulada, carpenteria metallica a domicilio, che con quattro ragazzi lavorava per Portovesme, ma le fabbriche hanno chiuso e senza incassi non puoi pagare la previdenza. Risultato, l’Inps lo ha pizzicato, gli ha sbattuto in faccia prima venti poi cinquantamila euro di arretrati, per arrivare al doppio sono bastati tre anni, e Pietro da allora non lavora più. Con lui, sono finiti sul lastrico anche i suoi operai: una moglie e due figli a testa, fanno altre sedici persone disperate. Chiunque sta dentro questa folla, che non ha voluto bandiere di partito per non essere manovrata, è un disgraziato. Certo, ha evaso, giura che non lo avrebbe voluto fare e ancora prova vergogna per essere stato un pessimo cittadino, ma non pensava di essere cacciato nel pentolone dei cannibali. Lo ha fatto chi si è divorato addirittura i Quattro Mori, con una t in più sono gli ex commercianti - i Quattro Morti - di Gonnesa, paese dove ieri gli ultimi sopravvissuti hanno abbassato la serranda in nome della solidarietà. Bisogna aiutarsi, se si vuole vincere. Ma come si fa a sperare se intorno dappertutto è circondato dalle cartelle: Giovanni da Sant’Anna Arresi, quelle che gli hanno notificato, se l’è messe al collo: «Sono venticinque, mi hanno spinto fino a salire sul tetto: volevo morire, mi hanno salvato loro, gli Artigiani liberi». Sono i capi di questo fiume rabbioso, comandano il gruppo e urlano al microfono l’identità chi è oggi disgraziato. Che ha la ribalta e subito un applauso: il nome è scandito, come si fa per i morti (questi sono moribondi) sui campi di battaglia, soltanto che qui il cannone ha già sparato e non a salve. A Masainas, Iglesias, Domus de Maria, Giba, Sant’Anna Arresi: è stata sempre una carneficina. C’è Giuseppe da San Giovanni Suergiu: anche lui colpito e affondato, nel 1998, da un ente pubblico che non gli ha pagato l’ultima fornitura, voleva compensare il credito con l’Irpef, gli hanno detto che allora non era possibile. Anni dopo l’Agenzia delle entrate gli ha contestato di non aver pagato le tasse: «Come facevo, era stato bruciato». Ebbene, doveva 70mila euro, adesso è sotto con Equitalia di 400mila. «È come se mi avessero messo da vivo dentro una bara. Quando li potrò mai pagare? E nel frattempo mi hanno pignorato persino il motorino». È uno sfigato. Ed eccola, la cassa: è nera, trascinata dai marciatori arrivati da Narcao: «Ci hanno ucciso», è la testimonianza di chi sorride per non piangere. Altrimenti non si spiega come abbiano fatto a passare la notte, a inventarsi tre cornacchie di pezza che volteggiano sulle loro teste e su cui hanno scritto: Stato, Equitalia, Inail e Inps, i soliti becchini.

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