Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Cresce la mobilitazione: niente nucleare

Fonte: La Nuova Sardegna
9 maggio 2011

 
Appello di Cappellacci, nessuno scorda i rischi per i sottomarini Usa alla Maddalena 
 
 

SASSARI. Va avanti il conto alla rovescia: -7 (giorni) al voto. E cresce l’attesa per il referendum sul nucleare. Se nei 97 centri che si preparano alle Comunali gli elettori sono pronti al doppio test, l’interesse per il sondaggio è comunque in aumento dappertutto. Così nei restanti 280 paesi e città si moltiplicano iniziative, dibattiti, convegni. Del resto, perché stupirsi? Mentre Ugo Cappellacci ha invitato di nuovo ad andare ai seggi spiegando che il suo sarà un voto contro gli impianti atomici, nessuno ha dimenticato come l’isola abbia già avuto i suoi guai.
In effetti, per quasi 37 anni, dal 1972 al 2008, i sardi hanno tollerato nell’arcipelago della Maddalena il passaggio di micidiali hunter killer diretti verso la base di Santo Stefano per le manutenzioni: ovvero i sommergibili americani a propulsione atomica armati con missili a testata nucleare, con tutti i gravissimi pericoli collegati. Non è quindi casuale la mobilitazione in vista del referendum (domenica 15 e lunedì 16 maggio). Come non è casuale che il governatore, del Pdl, confermando la diversità di linea rispetto al centrodestra al governo, non si stanchi di ribadire quanto sia importante partecipare. Cappellacci ieri ha formulato il suo ennesimo appello durante l’inaugurazione del Parco della musica a Cagliari: «Io metterò la mia X sul sì», ha voluto precisare come ulteriore forma di chiarimento. Il quesito proposto nella scheda è infatti: sei contrario all’installazione di centrali nucleari e siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti? Chi non è d’accordo sulla presenza degli impianti deve perciò votare sì, chi è favorevole no. Un concetto che lo stesso Comitato Si.No.Nucle ha spiegato in questo modo: «Si deve votare sì per dire no al nucleare nell’isola».
Il referendum è consultivo e perché abbia valore è necessario il superamento di un quorum pari al 33% degli aventi diritto. Soglia più bassa rispetto al 50% +1 stabilito per il sondaggio nazionale del 12-13 giugno. Che ha potere abrogativo. E su cui però si deve ancora esprimere la Cassazione: se la Corte deciderà per lo stop su scala nazionale ritenendo efficace sotto il profilo normativo la moratoria di 12 mesi decisa da Berlusconi su questo tipo d’energia, gli abitanti dell’isola saranno gli unici italiani ad avere il privilegio di esprimersi su un tema tanto cruciale.
Ecco, dunque, perché l’altra sera a Cagliari la tragedia di Chernobyl è stata ricordata, a 25 anni di distanza, in un convegno che ha rilanciato le fonti alternative. Manifestazione promossa dalla stessa Regione. Con un parterre di primo piano: rappresentanti dei governi ucraino e bielorusso, persino protagonisti che sul piano operativo cercarono di evitare alla catastrofe proporzioni più apocalittiche.
Una iniziativa che ha spinto il sindaco di Gairo, Roberto Martino Marceddu, a dichiarare: «Dobbiamo individuare presto le alternative. I comuni come il nostro vogliono realizzare in proprio un sistema ecocompatibile. Ma per farlo bisogna superare gli attuali ostacoli normativi: alla giunta sarda il compito di tradurre in pratica i provvedimenti indispensabili per giustificare l’impegno anti-nucleare».
Grande attenzione a Oristano verso l’intera problematica, diventata di stringente attualità dopo il disastro in Giappone. Al teatro Garau, dalle 17 di martedì, il Comitato Si.No.Nucle ha indetto un dibattito. Obiettivo: sensibilizzare tutti sul raggiungimento della percentuale di votanti indispensabile perché il test sia dichiarato valido.
Da oggi a Castelsardo un gazebo realizzato dall’Irs e a Osilo un altro eretto dal Pd. A Thiesi, sempre in giornata, dibattito aperto. Ieri pomeriggio a Sassari, in piazza Castello, flash mob con antinuclearisti distesi per terra a simulare una catastrofe nucleare davanti al sindaco, Gianfranco Ganau. Questa mattina, dalle undici a mezzogiorno, a Stintino il Comitato per la tutela del golfo dell’Asinara ne ha organizzato un altro (stavolta un’estemporanea catena umana) nel piazzale Renaredda. Interventi diversi, tutti contro il ritorno dell’energia fondata sull’atomo, in altri paesi ancora dell’isola.
Un’isola che ricorda bene come il centro nazionale per le scorie radioattive in passato fosse stato individuato proprio qui. Come non scorda i costanti allarmi a suo tempo legati alla presenza dei sottomarini atomici alla Maddalena. Nelle discussioni, infatti, affiora spesso un paradosso. Nonostante il referendum del 1987 e il no all’opzione atomica, nel nostro Paese per decenni hanno funzionato reattori fuori da ogni controllo: appunto i sottomarini d’attacco statunitensi, insieme con i sommergibili inglesi e francesi ancora oggi soliti navigare nei nostri mari.
Eppure, i rischi maggiori stanno proprio lì. A sollevare il problema, fra gli altri, uno scienziato americano proprio per la sua esperienza al di sopra di ogni sospetto: John P. Shannon, fisico e ingegnere nucleare, per 30 anni nella Us Navy responsabile della sicurezza nucleare. Ruppe il silenzio dopo la tragedia del Kursk, il sommergibile atomico russo inghiottito dal Mare di Barents con i suoi 148 uomini d’equipaggio, il 12 agosto del Duemila. Shannon non solo ha spiegato perché le avarie al reattore nucleare di un sommergibile comportano più pericoli di un guasto a normale reattore per uso civile. Ha fatto riferimento a una lunga catena di morti e incidenti in gran parte nascosta.
Ma ecco, in sintesi, i motivi tecnici della minaccia. Il rischio maggiore è la perdita di liquido refrigerante. Lo scienziato Usa definisce l’eventualità «potenzialmente disastrosa» perché «la scopertura del nocciolo può provocarne la fusione con conseguente rilascio di enormi quantità di radioattività» (è ciò che accadde a Chernobyl). Per proteggersi da queste situazioni l’autorithy americana che regola gli standard di controllo negli impianti civili, la Nuclear Regulatory Commission, impone un sistema di raffreddamento. Ma è qui è il vero guaio: «Per mancanza di spazio - ha rilevato Shannon - i sottomarini non sono equipaggiati con questo vitale sistema di sicurezza».
Come dire: in Sardegna solo pochi hanno avuto per decenni la consapevolezza dei possibili disastri.
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