In «I bambini della sua vita» il ritorno a Cagliari di una adolescente che cerca di risolvere il mistero della paternità
Tutto, o quasi, su mia madre e mia nonna. L’ultimo film del regista cagliaritano Peter Marcias, «I bambini della sua vita», presentato al Market del festival berlinese di febbraio e quindi, ai primi di aprile, a Lecce per il Festival del cinema europeo, ha per protagonista Alice, vecchia conoscenza del suo cinema “in corto”, interpretata ancora una volta da Giulia Bellu. È ormai un’adolescente, con madre drogata e prostituta, e nonna iperprotettiva, che non si fida neanche di un amico della figlia, il francese Julien, omosessuale, che quasi fa da padre e madre alla bambina.
Da grande, all’età di ventidue anni, tornata a Cagliari nella vecchia casa familiare del quartiere di Castello (tutto il film è ben ambientato da Osvaldo Desideri nel centro storico del capoluogo regionale, con qualche rara escursione sulla spiaggia), ricorda, come un punto di non ritorno verso l’infanzia, la sua breve cecità, risolta con un intervento chirurgico che il regista realizza in animazione, quasi per distanziarsi dalla tragedia della vita attraverso il “non vedere”.
Da questo flash-back il film si dipana tra passato e presente, cercando di risolvere il doppio mistero della paternità di Alice e del delitto che ha portato in carcere Julien, visitato da quella che potremmo chiamare una figlia putativa.
Ma in realtà né il primo, né il secondo cruccio della ragazza - che non vuole vivere assieme al compagno per paura di ricominciare a percorrere sentieri sentimentali sbagliati - sono davvero importanti. Il film, infatti, vive piuttosto sui personaggi e - direbbe il regista tedesco Wim Wenders - sugli spazi che li dividono dal mondo e dagli altri, familiari o estranei.
E, non a caso, come nei film di Bresson, questi personaggi sono osservati dal bravo attore Giampaolo Loddo - icona del nuovo cinema sardo - che si limita a comparire, di tanto in tanto, nella cornice di una finestra che dà sulla strada.
Scritto dall’abituale collaboratore del regista, Marco Porru, musicato (in eccesso, anche se piuttosto bene) da Romeo Scaccia, il film è valso all’attrice Piera degli Esposti il premio come migliore interprete al festival leccese. Forse la si poteva usare di più e non farla sparire del film improvvisamente.
A parte l’eccesso di sequenze da “Film commission”, «I bambini della sua vita» è il primo film di Marcias non “dissociato” scenicamente, ovvero stilisticamente compatto. Costruito prevalentemente su frammenti memoriali abbastanza coerenti, non rinuncia però alla tentazione del numero da grande caratterista (Nino Frassica, bravo ma inutile) come riempitivo; inoltre la scena di sesso mercenario dietro il cancello è francamente brutta.
Persino il ricorso all’animazione, se funziona nell’esordio, non ha la stessa forza evocativa nella scena del delitto. Peter Marcias sostiene che la scelta è stata dettata dal bisogno di distanziare, ancora una volta, un evento che rischiava di esplodere come in una “telenovela” sudamericana. Aggiungiamo: come in un vero melodramma.
Trent’anni fa si sarebbe detto che il film derivava dal raffreddamento melodrammatico di un regista come Fassbinder; oggi c’è un altro autore, più vicino al calore mediterraneo, e il suo nome - lo si è capito dalle prime righe di questo articolo - è il cineasta spagonolo Pedro Almodovar. Che però non è imitabile: non ha creato un genere, ma lo ha piuttosto “usato”, riuscendo a far intravvedere, attraverso archetipi popolarissimi, le sofferenze affettive come vera e propria “cognizione del dolore”.
Ecco, forse anche nella pellicola de «I bambini della sua vita» si poteva esagerare e far esplodere il film proprio durante la scena del delitto.