Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Dentro la città dei divieti d’accesso

Fonte: La Nuova Sardegna
18 aprile 2011



Dalle reti intorno al Marino alle transenne di via del Cammino Nuovo



Le palizzate che «chiudono» il Lungosaline e i recinti in metallo che nascondono piazza Garibaldi

ANTONELLO DEIDDA

CAGLIARI. Reti, transenne, cancelli e cancelletti, palizzate. La città dei divieti si nutre di ferro, plastica e legno: dal Poetto a Castello, passando per il Bastione e Stampace non si contano più i posti off limits, vuoi per lavori in corso che la sicurezza ma anche per l’insipienza di chi dovrebbe provvedere alla loro manutenzione e restituirli alla collettività.
L’elenco è lungo e continua a crescere. Un disastro a cielo aperto che si può contemplare in poco tempo, una giornata in auto basta e avanza ma gli effetti sono destinati a prolungarsi nel tempo. Si potrebbe iniziare dalla Bussola, anche se la costruzione «insiste» trova in comune di Quartu, come si dice in questi casi. Ma la Bussola è un’appendice di Cagliari, anzi è uno dei simboli più evidenti della città dei divieti (e delle brutture che crescono intorno), vicina come è al Poetto. Un tempo era il posto dove ti fermavi almeno una volta al giorno quando andavi al mare o se dovevi prendere la strada per Villasimius oppure se di notte facevi tardi. Tabaccheria, bar, ristorante, mini stabilmento balneare, sala giochi e chi più ne ha più ne metta. Oggi è fatta da una serie di reti metalliche e palizzate in legno che si coprono a vicenda per nascondere una struttura centrale ormai in disfacimento e che anzi sta per crollare sotto il peso degli anni e dell’incuria. Le amministrazioni che si sono succedute negli ultimi anni hanno sempre promesso di metterci mano, inutilmente: la Bussola resterà così sino al crollo definitivo, garantito.
Ma è proprio partendo dal Poetto si trovano gli esempi più illuminanti dei divieti che coprono l’incuria ma anche della politica che ha contraddistinto spesso le amministrazioni. Dove si può, meglio nascondere e rinviare a domani i lavori che potrebbero essere fatti oggi. Una lista lunga così e pazienza se qualcosa viene dimenticato per strada. La rete metallica che divide la strada dallo stagno è ormai la caratteristica di Molentargius e solo pochi varchi permettono di ammirare un ambiente che altrove sarebbe diversamente valorizzato. Poche centinaia di metri e mentre si lasciano a sinistra le casette in legno e le tende che nel corso degli anni hanno deturpato la spiaggia e che adesso dovrebbero essere abbattute, ecco l’ospedale Marino. O meglio quel che resta: un colosso di cemento e ferro arruginito, circondato da una doppia rete metallica per impedire che qualcuno entri e possa farsi del male. Ma deve essere una caratteristica della zona, ad un lato c’è il rudere del vecchio pronto soccorso e davanti l’idrovora e un’altro degli ingressi del futuro parco. Entrambi circondati da transenne e reti metalliche. Su tutto domina comunque l’ospedale Marino, falliti i tentativi di recupero e cassati dalla burocrazia i passi in avanti per restituirlo alla città, quel che resta oggi è un caseggiato che fa paura solo a guardarlo. Fuori, le scritte e i graffiti colorati rendono ancora più cupo lo scenario: gli «Sara ama Dani», gli incancellabili nomi e cognomi di chi ha fatto il servizio di leva, le minacce scritte alle tifoserie rivali descrivono benissimo dove sono finiti i progetti di chi aveva promesso di far rifiorire il Marino e non l’ha fatto.
Avanti c’è posto. A proposito di transenne, una lunga serie di divisori in metallo si trovano da tempo immemorabile ad un lato del Lungosaline, proprio davanti alla chiesa: dovevano rappresentare una soluzione provvisoria ai sensi unici della zona, sono ancora lì e chissà per quanto lo saranno. Impossibile raccontare gli altri guai del Poetto, meglio dirigersi verso Calamosca. I divieti sono doppi: arrivati alla scalinata che porta alla spiaggiola, a destra una rete rende impossibile l’accesso al mare e a sinistra lo sterrato che conduce al vecchio faro è sbarrata da tre fle di reti metalliche. Ritornando indietro, una serie di transenne delimitano la chiesetta di San Bartolomeo. E poco più avanti, giusto un chilometro in linea d’aria, il Sant’Elia, monumento del disastro che ruguarda anche lo sport. Gli anelli in cemento si sfaldano sotto il peso degli anni (nemmeno tanti): non slo le reti ma anche le tribune in tubi Iocenti peservano l’unica zona utilizzabile, il campo di calcio. Tra poco, quando il cagliari se ne andrà, l’abbandono sarà completo.
Ma naturalmente la città dei divieti non è soltanto quella con vista mare ma si nutre di cartelli, palizzate e reti anche per le strade del centro. Uno sguardo a Bonaria, dove una cancellata divide i vecchi reperti archeologici da una discarica a cielo aperto dove ogni settimana si trova lo scheletro di un vecchio elettrodomestico. E salendo verso Villanova, a parte le decine di costruzioni protette da impalcature in legno e manufatti in ferro che devono impedire una pioggia di calcinacci, ecco due splendidi esempi di piazze degradate. Piazza Gramsci e piazza Garibaldi. Dove le reti metalliche sono usate per delimitare le aiuole ma anche per impedire che qualcuno possa cadere in una buca. Dalle parti di San Domenico, nuove palizzate in legno a delimitare e coprire un angolo che invece potrebbe essere valorizzato altrimenti. L’elenco e lungo, praticamente non c’è un quartiere di Cagliari che sia esente dai cartelli di divieto: vietato entrare, off limits, ce n’è per tutti i gusti. Dopo aver ricordato l’anfiteatro, trasformato per parecchi mesi all’anno in discarica dove tutti gettano tutto, in Castello c’è pure una strada che un giorno è stata chiusa e che non si sa quando riaprirà. È via del Cammino Nuovo, proprio sotto le mura di Santa Croce. Ennesimo (ma non ultimo) esempio di una città che ha scelto il degrado.