Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

In scena i colori della tenerezza

Fonte: L'Unione Sarda
11 aprile 2011

TEATRO. Al Massimo di Cagliari ancora questa sera “La Trilogia degli occhiali” della regista siciliana

Emma Dante, umanità emarginata e struggente

C'è un teatro contemporaneo italiano disegnato come agguato di nostalgie, sudore che affoga parole scomparse prima di essere afferrate, poesia di corpi dimenticati ai bordi della società. Quasi burattini scaraventati sul palco, si agitano ed esagitano figure emarginate nella solitudine, nella malattia e nella vecchiaia. Succede nella “Trilogia degli occhiali”, firmata e diretta da Emma Dante ancora oggi alle 19, in ultima replica, al Massimo di Cagliari, dove lo spettacolo è stato portato dallo Stabile della Sardegna quasi a fine cartellone (dal 15 al 17 aprile è in programma “Giochi di famiglia”).
Sotto le lenti appannate di ricordi gli episodi chiamano gli spettatori a trovare anche nell'incompiutezza il senso di storie universali e di fisicità perennemente perdenti. Nel primo capitolo, “Acquasanta”, il mozzo abbandonato a terra è legato a tre ancore di una nave immaginaria e scansiona il tempo caricando dei contaminuti. Si infila il mare in gola per poi sputarlo e sbavare (un eccezionale Carmine Maringola) e quindi cantare Renato Carosone e storie di tempeste, nel suo amore per il mare in una dedizione assoluta, quasi crocifisso al suo simulacro di barca.
A scansire il ritmo del “Castello della Zisa” sono invece le bambole caricate dalle suore-infermiere (le sincroniche Claudia Benassi e Stéphanie Taillandier) che accudiscono un catatonico Nicola (Onofrio Zummo, abile in una recitazione circense). L'episodio ritrova l'urlo e il movimento nella sua vicenda contornata di fiabesco, ma poi piomba uno strappo netto: quel risveglio dura un battito d'ali ed è subito buio.
E nell'ultimo, “Ballarini”, una vecchia ridesta l'amato (i bravissimi Elena Borgogni e Sabino Civilleri) aprendo un baule dal sapore proustiano. Dopo aver caricato un orologio, cambiano gli abiti e affrontano nella musica l'intimità di un viaggio indietro nella passione giovanile, sino al primo bacio.
Sotto un firmamento di timer da cucina, di crocifissi e di lampadine del dì di festa, i personaggi inforcano gli occhiali per difendersi dal mondo e recuperare qualcosa che non vedono più. La regista addestra i suoi attori a performance impegnative, scandisce i tempi e organizza per tagli di luce (disegno illuminotecnico è di Cristina Fresia) il suo teatro di suggestioni kantoriane. Dal primo capitolo, il più provocatorio e visivamente aggressivo, si approda alla vitalità scenica malinconica e struggente dell'ultimo (dove le note di Mina sono perfette) frammezzando, nel secondo, con una tensione interrotta all'improvviso. Il teatro di Emma Dante emoziona e la sua umanità addolorata si colora di tenerezza profonda e universale.
MANUELA VACCA