In scena Donatella Finocchiaro
ENRICO PAU
CAGLIARI. Il viaggio de «La Ciociara» da Alberto Moravia a Annibale Ruccello non ha fermate intermedie, nessuno stop, neanche dalle parti del film capolavoro di De Sica. Niente polvere, lacrime, sangue, macerie di guerra, sudore. Tutto è già accaduto. Vent’anni dopo la Storia ha consumato tutte le emozioni, le ha collocate nel territorio della memoria, raffreddate, sembrano ricordi lontani come i protagonisti, impalpabili fantasmi, figure di un sogno. La madre e la bambina che il film aveva reso immortali, cresciute, portano dentro le ferite, ma il paese è cambiato. Vive il sogno del dopoguerra, di un miracolo economico dentro cui si annidano già gli incubi dell’Italia del futuro. Roberta Torre, è la regista di questa rilettura del capolavoro di Moravia per la penna di Ruccello, scrittore tra i più interessanti del Novecento teatrale italiano che di un autore come lui, morto troppo giovane nel 1986, avrebbe avuto ancora bisogno. Lo spettacolo in scena questi giorni al Teatro Massimo per la Cedac, è una messinscena elegante, raffinata come le grandi proiezioni che segnano l’impossibilità della Torre di staccarsi dalla sua materia originaria, la sua passione, il cinema, qui forte elemento narrativo, finestra aperta, sui potenti flash back che aiutano lo spettatore a ricomporre il mosaico degli avvenimenti. Passato e presente non hanno un rapporto gerarchico si confondono sempre. E’ questa la scelta drammaturgica di Ruccello, a cui interessano le viscere di un’umanità ritratta con sguardo empatico eppure pieno di pessimismo vibrante e una verità capace di commuovere. Ritratto doloroso di un mondo popolare, quella parte della società italiana, la più fragile, che più soffrì per le ferite della guerra e perse quell’innocenza di origine contadina di cui parlava anche Pasolini. Per la sua «Ciociara» Roberta Torre si è affidata a Donatella Finocchiaro che al contrario di molte sue colleghe del grande schermo ha dimostrato di essere attratta dal teatro accettandone regole, fatica e rigore. Il suo più che un personaggio è un feticcio per la cultura italiana, un ruolo difficile pieno di insidie e possibili confronti con il passato. L’ha affrontato senza complessi con una recitazione piena di sfumature, tonalità che vanno dallo smarrimento a una sensualità popolare e colorata di una lingua autentica. Uno spettacolo che trova la forza in un cast molto affiatato (spiccano Russo, Frediani, Romolo e la giovane Galletta).