La testimonianza di un abitante, il regista Enrico Pau
CAGLIARI. Ogni giorno un pezzo della nostra città scompare. Lo chiamano progresso. Ora le gru arriveranno fino a Bonaria. Quattro piani nell’ultimo spazio libero. Tutto a posto, bolli, permessi, autorizzazioni comunali. Il santuario di Bonaria, abbiamo scoperto, misteriosamente, non è più compreso fra i beni identitari della città. Il nuovo palazzo sorgerà a meno di quaranta metri dal sagrato, su un’area un tempo destinata a verde pubblico. Poi la solita tecnica, ormai collaudatissima. Lasciar passare gli anni senza fare niente, lasciare che la zona verde individuata dal Puc, diventi uno sterrato: erbacce, reti arrugginite, alla fine arriva, come al solito il progresso, il cambio della destinazione d’uso. Lo spazio verde, acquistato a prezzi da zona inedificabile, ora farà da cornice al palazzotto di lusso.
In mezzo a tutto questo affaccendarsi edilizio rimane solo la solitudine dei cittadini abbandonati dalla politica. Millecinquecento abitanti della zona hanno scritto al sindaco, ottenuto rassicurazioni, parlato con i consiglieri, spiegato le loro ragioni. Ma il cemento è troppo forte in questa città, cementa sensibilità diverse, a volte, troppe volte, trasversali, penetra nei vuoti delle coscienze, fa fare cose che “non si vorrebbero fare”, lascia i cittadini attoniti davanti alle scelte della politica. È la democrazia. Quindici consiglieri della maggioranza, quasi tutti ferventi cattolici, l’altro giorno hanno deciso il destino di Bonaria, di una strada, di un quartiere, della città, della qualità della vita di persone normali che hanno acquistato casa davanti a uno spazio verde, e ora si ritrovano quattro piani davanti alle finestre, la condanna all’ombra perenne, all’affaccio sul cortile della casa di lusso con vista sul tramonto. La solitudine dei cittadini. È successo mille volte. I consiglieri l’hanno spiegato: non è sacro il colle, lo sono i diritti del costruttore. La nuova casa, come le altre che nascono nel quartiere miglioreranno la qualità della vita. Ci hanno convinto. A Bonaria basta guardare verso il cielo, contare le gru. Ogni gru un cantiere aperto, una betoniera, una benna metallica dal rumore insopportabile che scava il calcare e allieta la vita degli abitanti. A guardare le vecchie case ancora intatte vengono i brividi, si immaginano già i cantieri. Lo chiamano sviluppo, ma lascia soli i cittadini, come la politica che ignora la loro voce ma ascolta sempre quella soave dei palazzinari, come le sirene di Ulisse. Quei “faineris e benduleris” (faccendieri e mercanti) come li chiamava il grande poeta cagliaritano Aquilino Cannas, che stanno seduti sul corpo della città e ne divorano un pezzetto alla volta, compiaciuti, e “ridono, ridono di un allegro ridere sardonico”.