Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Il teatro rinascerà, nonostante i tagli»

Fonte: L'Unione Sarda
8 marzo 2011

INTERVISTA.

Parla il nuovo sovrintendente del Lirico, che ieri ha firmato il contratto

 Di Benedetto: sì alle risorse locali, lavoreremo nel territorio
 È stato il capo del personale alla Scala di Milano ed è stato il direttore generale dell'Accademia Santa Cecilia di Roma. Ma arriva a Cagliari inseguito dal sospetto di aver trascinato nel baratro il Carlo Felice di Genova. E c'è già, tra i sindacati del Lirico, chi lo boccia a priori ed è pronto a comunicarglielo. Gennaro Di Benedetto sa bene che in teatro troverà dipendenti stremati, nervosi, privi di certezze e prospettive. Ma non se ne preoccupa. «Arrivo con spirito costruttivo, con la volontà di risolvere i problemi. Un teatro funziona solo se c'è un sovrintendente e io sono qui per lavorare per il bene del teatro».
Ieri mattina è entrato per la prima volta in via Sant'Alenixedda, ha incontrato il consiglio di amministrazione, ha conosciuto il neo direttore amministrativo Pietro Oggianu, anche lui da ieri al lavoro, ed ha firmato il contratto da dirigente d'azienda che lo lega al Lirico. Oggi incontrerà i sindacati.
Che mandato ha avuto dal consiglio di amministrazione?
«Di valorizzare le risorse locali. È un'ottima indicazione».
Quindi il direttore artistico sarà un sardo?
«Nei prossimi giorni incontrerò molte persone e ragionerò con loro. Poi deciderò autonomamente, consapevole dell'importanza e della complessità del ruolo del direttore artistico».
Quando lo nominerà?
«Tra qualche giorno».
Lei ha fama di tagliatore di teste e dicono che sia un duro con il personale.
«Fama immeritata. La dialettica sindacale in teatro è spesso irta di spine. Io sono un uomo che rispetta e fa rispettare le regole e i contratti nazionali di lavoro, tutto qui».
La legge Bondi vieta nuove assunzioni e contratti integrativi. Tagliare gli stipendi in questo contesto di tensione sarà complicato.
«Non mi espongo, parlerò con i sindacati e vedremo».
Che cosa sa di questo teatro?
«Che è la più grande istituzione culturale sarda, con una storia di prestigio, che negli anni scorsi è riuscita a proporre una programmazione efficace e novità interessanti nel panorama nazionale».
Come si fa a garantire qualità con un taglio del Fus di cinque milioni?
«Si può fare con la collaborazione di tutti. Questo teatro ha straordinarie professionalità da cui occorre ripartire. Con loro troveremo la soluzione».
Tra gli input per il suo mandato c'è la creazione di un teatro regionale.
«Un suggerimento indispensabile. La Sardegna è terra di luoghi suggestivi, non si può ragionare con una logica di capoluogo».
Che cosa significa?
«Che bisogna coinvolgere non solo le risorse che stanno in Sardegna ma anche il territorio».
Parliamo di Genova. I dipendenti sono in cassa integrazione, il teatro è commissariato, i creditori, tra cui lei, pignorano gli incassi delle poche produzioni.
«Nella mia gestione ho chiuso quattro bilanci in pareggio e uno con un deficit di un milione ripianato con gli accantonamenti degli anni precedenti, ho il record storico di abbonati e di spettatori, siamo stati l'unico teatro italiano, grazie al palco tecnologico, a rappresentare tre opere diverse in tre giorni ed ho portato il debito pregresso da 15 a dieci milioni di euro».
Grazie ai fondi delle Colombiadi.
«È vero».
Poi perché il teatro è stato commissariato?
«È arrivato un nuovo sindaco e mi ha messo nelle condizioni di andare via».
Che cosa è accaduto con i fondi pensione dei dipendenti?
«Non ho avuto alcuna responsabilità, e le spiego perché».
Prego.
«Il fondo pensione nasce negli anni '70 e nel '93 il governo cambia la legge: da quel momento nessun dipendente si può più iscrivere. Nel 2003 arrivo io e vedo che dopo il 1993 sono stati iscritti 66 dipendenti in violazione alla legge. Chiedo ai gestori del fondo di restituire i versamenti e contestualmente faccio tre proposte alternative ai sindacati, che le rifiutano. Nel 2004 la Covip, l'ente di vigilanza sui fondi pensione, ne decreta la liquidazione coatta, cioè il fallimento. Questo è tutto. E a riprova della mia estraneità c'è il fatto che le inchieste della magistratura non mi hanno mai toccato».

Quando arriva nel suo ufficio al quinto piano del teatro, nel primo pomeriggio di ieri, Di Benedetto chiede della sua segretaria. Un dipendente gli risponde: «Dottore, era una precaria e non le è stato rinnovato il contratto». Lui replica deciso: «Troviamone una». Un modo per iniziare a risolvere il problema dei precari.
FABIO MANCA