L'inchiesta. Viaggio tra i quartieri storici di Cagliari: da regno dei pescatori il rione è diventato paradiso dell'integrazione
“Casteddai” ed extracomunitari convivono serenamente
Un rione nel quale cagliaritani e stranieri si mischiano senza difficoltà. Anche se non mancano i problemi: nella zona di via Porcile è guerra tra residenti e un gruppo di algerini.
Avevano sempre la parte meno nobile del corpo bagnata. Destino ineluttabile per chi lavora in mare: ecco perché, anticamente, gli abitanti della Marina si sono beccati il poco nobile appellativo di culus infustus (o sfustus , come preferite). Ma ora marinai e pescatori non vivono più da quelle parti: uno dei quartieri storici dove la cagliaritanità la faceva da padrona è diventato il regno dell'integrazione: pakistani, senegalesi, filippini, cinesi, sudamericani convivono con i casteddai vecchio stampo. Ed è una convivenza, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, che crea ben pochi problemi.
IL PASSATO Sarà forse perché proprio alla Marina l'immigrazione: intorno agli anni '20 si è insediata in passato una delle prime comunità straniere, quella cinese (poi scomparsa quasi misteriosamente). «Quando ero ragazzino», racconta Francesco Virdis, 86 anni portati con grandissima lucidità, «c'erano tantissimi cinesi nel quartiere. Ricordo ancora ancora le ambulanti asiatiche che vendevano le collanine a una lila, due lile ». Virdis, comunista vecchia maniera, costretto ora a essere un piscia tinteri (il nomignolo attribuito agli abitanti di Castello), ricorda chiaramente gli anni della sua infanzia vissuti alla Marina («Prima che il fascismo costringesse me e la mia famiglia a trasferirci a Genova»). Quegli anni in cui alla Marina si parlava soltanto il cagliaritano stretto, quegli anni in cui via Lepanto era ancora arruga de su bonu pagarori (via del buon pagatore), via Lepanto arruga de is preris (la strada dei preti), via Cavour via de Gesu (via di Gesù) e piazzetta Savoia Sa Funtana Noa (la fontana nuova). E quegli anni nei quali il quartiere era abitato da personaggi che venivano colpiti dalla mannaia della crudele ironia cagliaritana: da Boboi (dolcetto), chiamato così perché piccolo e con la guance rosse proprio come un dolcetto (ma, secondo qualcuno s'allumingiu era dovuto solo al fatto che era un sagrestano di rara bontà e dolcezza), a Stampu Nieddu , il rigattiere pronto a vendere qualunque cosa, passando per Billicu Siliedda , Mazzuzzu Priogu (pidocchio perché particolarmente avaro) e Murena .
LA CAGLIARITANITÀ Virdis ricorda quegli con nostalgia. Massimiliano Medda, il comico dei Lapola che ha creato il gruppo teatrale ispirandosi proprio ai personaggi del quartiere, rimpiange il passato sino a un certo punto. «Adesso», afferma, «sarebbe difficile creare i Lapola». Ma l'orologio della storia corre inesorabilmente. «In realtà, neanche negli altri quartieri storici si parla il cagliaritano. L'unico posto in cui ritrovo l'essenza tipica della nostra città è il mercato di San Benedetto». La Marina, invece, è sempre più multietnica. «E, grazie a questo, si vedono situazioni divertenti: alcuni dei compagni d'asilo di mio figlio sono immigrati di seconda generazione, nati a Cagliari da genitori stranieri. Ebbene, ogni mi capita di sentire qualcuno di loro che utilizza espressioni tipicamente cagliaritane, in dialetto stretto».
LE COMUNITÀ Si è perso qualcosa sotto il profilo della tradizione. «Ma almeno», si rincuora Medda, «questo è un quartiere vivo. Quando vi vedono tanti bambini che giocano per strada, si ricava una sensazione di grande vitalità». Bambini cagliaritani insieme a coetanei dai diversi colori di pelle: un vero e proprio quartiere multietnico. «Nel quale», interviene Italo Pau che, da oltre quindici gestisce il ristorante Ampurias in piazzetta Savoia, «l'integrazione non è solo tra cagliaritani e stranieri ma anche tra le stesse comunità provenienti dall'estero; non esiste, per intendersi, una Little China : una famiglia cinese, magari, abita nello stesso palazzo in cui hanno preso dimora sudamericani o pakistani». Un rione targato Onu nel quale, per esempio, il dentista è un tedesco e la persona che gestisce un bed & breakfast è una ragazza originaria del Mali. Per non parlare dei supermarket gestiti da stranieri che calmierano il mercato o dei negozi specializzati in cibi esotici (il kebab, per esempio) che diventano sempre più numerosi. E poi ci sono quelle attività, dagli sportelli specializzati nel trasferimento di denaro agli internet point, che vengono utilizzate prevalentemente da chi vive lontano dal proprio paese.
I LATI POSITIVI «È vero», interviene Saood Shah, il pakistano che gestisce “Hasan e Tarik”, negozio di tessuti e bigiotteria in via Dettori, «nel quartiere si vive bene. Mai avuto problemi». Gli unici problemi, sostiene, sono legati alle difficoltà per l'ottenimento dei permessi di soggiorni. «E anche all'aumento dei costi: difficile mettere da parte qualche cosa, visto quanto sono aumentati gli affitti». Non si lamentano gli stranieri. E non si lamentano neanche i cagliaritani. Raimondo Carboni ha raccolto, insieme al fratello, il testimone del padre che, nel 1958, ha creato il bar Savoia. «Da quando il quartiere ha ripreso a vivere, sono calati i furti d'auto, i furti negli appartamenti, gli scippi. Non è un caso che, mentre vanno via i vecchi abitanti, le case sono acquistate da gente che ha denaro da investire».
GLI STRANIERI Persone che non sembrano per nulla infastidite dai tanti extracomunitari che abitano il quartiere. Anche perché le comunità straniere sembrano volere davvero l'integrazione: i pakistani, per esempio, come è abitudine nel loro paese, sistemano alcune sedie fuori dai negozi; e capita frequentemente che le vecchie del posto le utilizzano per fare una sosta mentre tornano a casa dopo aver fatto la spesa. La comunità filippina, invece, cerca l'integrazione attraverso la chiesa: la domenica, l'oratorio viene invaso da decine di asiatici.
I PROBLEMI Ma, sia chiaro, i problemi certamente non mancano. Mentre la parte di Stampace che si affaccia sul largo Carlo Felice vive tutto sommato bene, quella che dà sul viale Regina Margherita ha qualche problema. Non a caso le lamentele saltano fuori soltanto dietro la garanzia dell'anonimato. «In questo periodo», racconta una donna in via Porcile, «un gruppo di algerini sta cercando di imporre la propria presenza: alcuni di questi vorrebbero piazzare qui una centrale dello spaccio di droga». Una guerra che dovrebbe concludersi come le precedenti: i piccoli balordi locali non vogliono ingerenze nel proprio territorio. Possono arrivare a tollerare qualche prostituta straniera che riceve nel suo appartamento della Marina. Magari anche il piccolo (o, per meglio dire, il piccolissimo) pusher pakistano. Ma permettere la trasformazione del quartiere in una centrale dello spaccio creerebbe immensi problemi. E allora non passa lo straniero . Ma, sia chiaro, soltanto quello che vuole vivere ai margini della legge. Perché il quartiere della Marina ha deciso di rinascere.
MARCELLO COCCO
12/08/2008