Inserite all’interno dell’«Isola che danza» le manifestazioni carnevalesche di quaranta comuni Aiuti e pubblicità per far vivere la Sardegna anche d’inverno
PABLO SOLE
CAGLIARI. Mamuthones e Issohadores sono da sempre, insieme a sos Thurpos e a Serittaju di Orotelli, i cavalieri della Sartiglia di Oristano, i Boes e i Merdules di Ottana, i testimonial più conosciuti della tradizione carnevalesca sarda. Che non è fatta solo di travestimenti e sfilate, elementi che se fossero intesi come preminenti e connotanti, ne svilirebbero irrimediabilmente il significato profondo - ma racchiude concetti molto più pregnanti e radicati, legati al tipico binomio sacro-profano, a «Su Konnotu», all’identità stessa di un popolo. Si parla di riti ancestrali caratterizzati da una primaria funzione liberatoria rispetto ad uno stato di contingenza perenne, o quasi.
Ci si libera della quotidianità, in uno slancio mediato da un rito che porta ad accettare modelli comportamentali di norma ricacciati. E si perpetua così una tradizione che mette in scena, a volte facendo ricorso ad una matrice marcatamente simbolica, il lavoro, i rapporti sociali e finanche le pulsioni sessuali di una popolazione. Qualcosa di parecchio differente, dunque, dal Carnevale generalmente inteso altrove.
Un ottimo biglietto da visita per una stagione turistica che, da decenni e con poco lusinghieri risultati, tenta di competere con la «sorella maggiore» fatta di sole e mare. Nasce da questa constatazione l’idea di inserire, all’interno della campagna istituzionale varata dalla Regione «Isola che danza», i festeggiamenti per il Carnevale organizzati da oltre quaranta Comuni dell’isola che, da sempre, valorizzano la tradizione del «Karrasekare».
Si parla di 198 mila euro - circa 5 mila a Comune - per coprire spese organizzative e logistiche. Inutile, per bilanciare una tale quantità di denaro, lasciare le cose come stanno senza far sapere ai potenziali visitatori che cosa l’isola offrirà tra dopodomani e il 12 marzo. Ecco dunque che, in parallelo, l’assessorato regionale al Turismo guidato da Luigi Crisponi ha deciso di puntare su una massiccia campagna pubblicitaria, che costerà circa 300 mila euro, e che coinvolgerà televisione, radio, siti web, giornali regionali e nazionali.
Per molti tour operator e appassionati di turismo culturale non sarà una sorpresa, dopo l’assaggio del programma «L’isola che danza» che nelle scorse settimane ha messo la Sardegna in vetrina alle fiere internazionali di Utrecht, Vienna, Oslo, Stoccarda, Madrid, Bruxelles e Dublino.
Cuore e tradizione, passione e identità della nostra isola: il percorso dell’ «Isola che danza» - ha rimarcato Crisponi - prosegue sotto questi segni. Ora è il turno del Carnevale, che ha già riscosso un ottimo apprezzamento posto che oltre quaranta amministrazioni lo celebreranno sotto l’egida del brand regionale pensato per supportare i Comuni che custodiscono, riscoprono e valorizzano le risorse della tradizione.
Mamoiada, Ottana e Orotelli, certamente, ma anche Ollolai, con su Thurcu e sa Maritzola, Oniferi con su Maimone e sas Biudas e ancora sos Bundos di Orani, sos Corrajos di Paulilatino, don Conte e sos Intintos di Ovodda. Per le vie di Aritzo si incontreranno i Mamutzones, su Coli coli e S’Urtzu, a Fonni sos Buttudos e su Ceomo e a Gavoi invece sos Tumbarinos.
«Figure della tradizione - ha rilevato Crisponi - spesso sconosciute agli stessi sardi». Non così invece sono gli appuntamenti come la Sartiglia oristanese, il «Carrasciali» di Tempio e il «Karrasegare Osinku», manifestazioni popolari conosciute e apprezzate anche a livello internazionale e che ogni anno richiamano migliaia di visitatori e curiosi da tutte le parti d’Europa.
Ad accomunare i Carnevali di Sardegna, dal più conosciuto alle piacevoli nuove scoperte, anche le prelibatezze offerte dalla stagione: fave e lardo, pistoccu, coccone. E, naturalmente, del buon vino.