Le linee d’ombra, i segni e i colori di cuori vagabondi
Appena due o tre decadi fa. Ed è già il secolo scorso. Negli ultimi scampoli del Novecento a ridosso del Duemila, chi furono e cosa fecero le prime generazioni Glocal, quelle cioè capaci di collegare assieme locale e globale? Sono passati non tantissimi anni eppure sembra già una eternità. Sicuramente, e stranamente, per quanto riguarda l’arte contemporanea si ha quasi la sensazione di un grande punto oscuro, Un enorme buco nero.
Insomma, chi erano quei giovani (artisti) che a cavallo tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta varcarono il mare aprendo nuove strade alle generazioni successive? Quali erano i loro riferimenti, idee e, soprattutto, cosa produssero in termini artistici? Alcuni di questi trovarono, come spesso capita, modo di esprimersi al meglio fuori dall’isola scegliendo una emigrazione volontaria, altri tornarono. Di sicuro su quelle generazioni resta tuttora una grossa incognita e un nodo da sciogliere. A sollevare per la prima volta il velo provando a tracciare uno degli itinerari possibili della storia recente dell’arte contemporanea sarda - che per essere esauriente avrebbe bisogno di una ricognizione più ampia e non solo limitata al campo delle arti visive - è «Generazioni Glocal - itinerari artistici dagli anni 80 al 2010 in Sardegna», esposizione che si è aperta ieri pomeriggio nei locali dell’Exmà.
Sostenuta in tandem dalla Provincia di Cagliari e dall’assessorato alla cultura del Comune cagliaritano la mostra, ideata e allestita da Lorena Carboni, curatrice del festival «Traghetti di poesia» e da Sonia Borsato, direttrice di Su Palatu, è indubbiamente una prima interessante ricognizione su un insospettabile - e sembra di capire anche assai ricco - giacimento culturale sul quale vale la pena scavare e mettere in cantiere ulteriori iniziative.
Stavolta riuscendo magari a togliere quel malefico “tappo” voluto - così ha puntato il dito ieri mattina il vulcanico assessore comunale Giorgio Pellegrini - dalle generazioni di artisti nati tra le due guerre colpevoli di non aver promosso la crescita dei “propri figli”. Invidia generazionale forse, ma anche e soprattutto controllo del mercato (come ad esempio quello della vendita delle opere alle istituzioni pubbliche ad esempio, ha detto polemicamente Pellegrini).
A mettere a fuoco il cuore dell’esposizione è Sonia Borsato che citando un intellettuale come Pier Vittorio Tondelli, ha tratteggiato efficacemente il ritratto di queste generazioni loro malgrado costrette a confrontarsi con cambiamenti epocali come l’annullamento delle differenze tra centro e periferia. Mutamenti culturali che da lì a poco determineranno la nascita del punk o il movimento del 77 così ricco di riferimenti al dadaismo e alle avanguardie storiche.
Da qui è iniziato un viaggio che questa esposizione propone, dagli Ottanta a oggi in tre segmenti con le opere di trentacinque artisti, alcune delle quali davvero notevoli - soprattutto quelle degli anni Ottanta e Novanta - e persino poco conosciute. Da Marco Moretti a Danilo Sini, via via fino a tratteggiare a tinte forti un paesaggio contemporaneo più conosciuto e anche più familiare. Quello cioè dei vari Pastorello, Aldo Tilocca e l’alter ego Greta Frau, Pietrolio, Leonardo Boscani o Erik Chevalier che si affiancano ai lavori di Enrico Corte, Andrea Nurcis, Giorgio Urgeghe, Gavino Ganau, Fabiola Ledda e Josephine Sassu. Ultimo tratto quello dei giorni nostri dedicato alle opere di Gianni Ruggiu, Industrie visibili, Y Liver, Gianfranco Setzu, Christian Chironi, Giulia Casula, Giuliano Slae, Silvia Argiolas, Silvia Idili, Stefano Serusi, Carlo Spiga, Narcisa Monni, Paolo Carta, Vittoria Soddu e Pietro Mele. Colonna sonora di Davide Cavalieri di Rmc.
«Generazioni Glocal». Fino al 20 marzo, dal martedì a domenica (9-13 e 16-20).