musica
Oggi all'Anfiteatro di Cagliari lo show del cantante che faceva il piano bar in un locale di Quartu
Fino a qualche anno fa, con la sua cover band, cantava ogni fine settimana a due passi da Cagliari: a Quartu, nel club F.B.I. Con rispetto e buon gusto, Mario Biondi attingeva dal repertorio di coloro che avevano segnato la sua formazione: Otis Redding, Bill Whiters, Donny Hataway, Booker T., Al Jarreau, Isaac Hayes, Lou Rawls, Barry White, Michael McDonald, Billy Joel, Commoders. Durante le serata, tra un omaggio e l'altro, il cantante catanese dalla voce nera, infilava anche qualche tema di propria composizione, come This Is What You Are , inciso nel 2004 sotto lo pseudonimo di Was a Bee. Destinato originariamente al mercato giapponese, il brano capitò per caso tra le mani del noto dj londinese Norman Jay, che lo inserì nella sua playlist programmata nel primo canale della Bbc, includendolo nella compilation Good Time 5 con quelli di Otis Redding, Marvin Gaye, James Brown. In un attimo scalò le classifiche inglesi.
In Italia, però, non successe niente: gli allori raccolti oltre Manica rimasero nella terra dei Beatles e dei Rolling Stones. Nel nostro Paese, Biondi continuava a rimanere un formidabile interprete di black-music sconosciuto ai più. Fino a quando un bel giorno, un giorno di quelli che nella vita non si dimenticano facilmente, la canzone arrivò alle orecchie di Linus, e tutto cambiò. Sulle frequenze di RadioDeeJay, milioni di ascoltatori rimasero stregati da quella voce roca e calda, profondamente black, che rapiva il cuore e la mente, da quella musica vera, diretta, senza impalcature. Una miscela ben dosata di jazz, soul dance, pop, che dava largo spazio ai fiati e che ha fatto la fortuna dell'album Handful of Soul , i cui brani, ma non solo quelli, scorreranno questa sera a partire dalle 21 sul palco dell'Anfiteatro romano di Cagliari, in occasione di un appuntamento firmato da Sardegna Concerti.
Una serata all'insegna della musica di qualità, da ascoltare e ballare, che il soul man siciliano proporrà in compagnia della Duke Orkestra. Ventitrè musicisti, tra solisti, coriste ed ensemble d'archi, diretti da Beppe Vessicchio, con il nostro Luca Mannutza al pianoforte, Andrea Bertorelli, piano elettrico, Giovanni Amato, tromba e flicorno, Max Ionata, sax tenore, Davide Drogo, chitarra, Andrea Celestino, basso elettrico, Lorenzo Tucci, batteria, Luca Florian, percussioni, Wendy Lewis, Cristiana Polegri, Vahimiti Cenci ai cori, e il D.I.M.I. Strings Orchestra. Formazione di sicuro valore, anche se purtroppo mancheranno alcuni nomi importanti tra quelli che hanno partecipato alla registrazione di Handful of Soul (il secondo, I love you more-Live è uscito lo scorso novembre): giovani leoni del jazz italiano come il trombettista Fabrizio Bosso, il tenorista Daniele Scannapieco, il contrabbassista Pietro Ciancaglini (che insieme a Mannutza arrangiò l'intero lavoro), e il trombonista Giancluca Petrella.
Trentasette anni, figlio d'arte, il papà Stefano in Sicilia era conosciuto per essere un famoso cantautore, Mario Biondi ha intrapreso la carriera da giovanissimo, esibendosi in un pianobar di Taormina: «Amavo la black music fin da allora, ma spesso dovevo scendere a compromessi e cantare brani pop di autori italiani che però non erano nelle mie corde. Sono stati anni belli e duri allo stesso tempo. Con la mia voce, a quei tempi così diversa dal gusto corrente, faticavo parecchio a farmi apprezzare. In compenso lì ho conosciuto gente come Franco Califano, Fred Bongusto, Peppino di Capri. Perfino il grande Ray Charles», ricorda il cantante. Una voce diventata per lui ora una sorta di benedizione, e che nel giro di breve tempo lo ha traghettato verso un successo che non mostra alcuna caratteristica di quelli prefabbricati e così frequenti nella musica d'oggi. Domani si replica a Ozieri per la rassegna Terre Sonore.
CARLO ARGIOLAS
08/08/2008