Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Roberto Herlitzka, il teatro come rigore

Fonte: L'Unione Sarda
27 gennaio 2011

Al Massimo di Cagliari da oggi con “Elisabetta II”

Ciò che porti in scena svanisce, e questo è affascinante e angoscioso

«I personaggi di Thomas Bernhard sono anziani, incattiviti, con tante recriminazioni da fare anche contro se stessi. E non sono attraenti di per sé, ma l'autore è così bravo che li rende umani e completi grazie a un'ironia straordinaria».
Roberto Herlitzka, 73 anni di grande teatro e di grande cinema, indossa i panni un personaggio velenoso. È l'industriale invalido di Elisabetta II , produzione Attori e Tecnici nel cartellone Cedac al Teatro Massimo di Cagliari (sino a domenica; stasera con doppio turno, alle 17 e alle 21). Ha scelto di portarlo in scena - assieme agli attori Gianluigi Pizzetti, Stefano Gragnani, Marisol Gabbrielli, Alessandra Celi,
Mariella Fenoglio, Antonio Sarasso e Simone Faucci - dopo la proposta della regista Teresa Pedroni che con lui aveva già allestito il Bernhard di Gelo e di Semplicemente complicato .
«Dopo un paio d'anni abbiamo trovato una produzione per realizzarlo». Non troppo strano ma sempre vero. Roberto Herlitzka, tra palco e set, ha lavorato con Costa, Squarzina, Ronconi, Missiroli, Lavia, Calenda, Wertmueller, Rosi, Comencini. La sua interpretazione di Aldo Moro nel film Buongiorno, notte di Bellocchio è una tra le più sincere della nostra cinematografia più recente e gli valse meritati riconoscimenti. «Ma non sono di quegli attori che chiamano le folle. I distributori, al teatro come al cinema, vogliono sempre andare sul sicuro e preferiscono il nome più popolare sul mercato». Ecco che l'artista torinese non campeggia sulle copertine delle riviste, eppure è considerato da molti il migliore attore italiano. «Ho sempre lavorato soprattutto con compagnie alternative, piuttosto che con i teatri stabili: mi offrono ciò che più mi piace».
Nella carriera non ha mai tremato davanti a un ruolo («Se una parte non mi piace la rifiuto, ma non si può avere paura di farla») e, quanto ai cambiamenti nel teatro italiano, trova che tutto sia «tornato alla tranquillità espressiva, con le dovute eccezioni». Racconta dei Settanta, quando erano emersi registi e attori molti innovativi. «Uno per tutti Carmelo Bene, ma erano tanti perché il periodo era di notevole fermento. Dopo si è stabilizzato, diventando a volte una maniera e altre restando originale». E ha inciso la cultura televisiva? «La tv è intervenuta in modo un po' catastrofico sul pubblico perché lo ha portato a cose molto basse dal punto di vista spirituale allontanandolo dalla cultura della poesia e dell'invenzione alta».
Una ricetta nuova, una strada non battuta per il teatrante nel rapporto con gli spettatori non ce l'ha: «Se esistesse l'avrebbero già trovata». Ma sceglie il rigore di fondo: «Fare teatro nel modo migliore senza dimenticare le tradizioni. Se uno vuole superare la tradizione è necessario che la conosca. Invece, fare le cose sul nulla credendo che sia una novità è sbagliato. E si rischia di ripetere male cose fatte bene». Riferimento base e irrinunciabile resta la scelta di testi. «Li divido in testi di valore letterario o poetico e testi per raccontare una storia ma che con il teatro non hanno nulla a che fare». Per lui il teatro è «rappresentazione e metafora della vita», non un raccontare più simile al cinema. Qui lo si rivedrà in Sette opere di misericordia , titolo caravaggesco scelto dai fratelli De Serio. Il bello di fare l'attore di cinema lo spiega così: «Mi piace in quanto un altro modo di recitare e cambiare è sempre divertente. Il cinema è poi un prodotto che rimane. Il teatro no, appena fatto scompare e ciò lo rende affascinante ma anche angoscioso».
MANUELA VACCA

27/01/2011