Incontri. Il popolarissimo attore, in tournée a Cagliari, si racconta al pubblico nella sala dell'Ersu
La gavetta, i sogni, Montalbano, l'etica perduta
«Entri in un mondo che ti prende, e non lo molli mai, anche se stai tanti anni senza farlo. Ma non credete a chi vi dice che è come fare l'amore con un sacco di gente. Fare l'amore è più divertente, anche con una persona sola». Parla del fascino del teatro, Luca Zingaretti, nella saletta dell'Ersu del corso Vittorio Emanuele troppo piccola per accogliere tutti. E lo fa con quella passione controllata che sembra essere la sua cifra. Ai toni esaltati preferisce la misura, alle tentazioni da divo un atteggiamento riservato, venato di timidezza. Ma poi, parlando della forza del lavoro che sta portando in tournée, La Sirena , si contraddice felicemente, e sintetizza in due pennellate il senso del suo fare teatro. «Quando hai la fortuna di fare una cosa che ti piace, su un palcoscenico, ti senti davvero parte di un tutto, e ti rendi conto che tutto, in quella sala, dipende da te, da ciò che dici, dal modo in cui lo dici. Se sterzi a destra il pubblico ride, se sterzi a sinistra piange. Questo sì che è fare l'amore. E con una persona sola».
Jeans, scarpe sportive, giaccia blu scuro e camicia celestina, “Montalbano” sa come conquistare chi lo ascolta. Gli basta un'ora esatta per farlo (e venti minuti successivi di autografi, e foto al telefonino). Proprio come in questo reading di 65 minuti che sta portando in giro con grande successo, e che fino a domenica lo vedrà protagonista al Massimo di Cagliari. Un'ora - in entrambe le performances - fatte di registri diversi, emozioni, ironia. Solo che qui la sirena è lui, non la creatura semidivina e semibestiale evocata dal vecchio professore del racconto. È lui, Zingaretti, regista di se stesso anche in questa occasione. Capace col suo magnetismo di dominare l'incontro col pubblico, (i fortunati all'ottavo piano, gli altri giù in videoconferenza).
A provocarlo con le sue domande è Gianfranco Capitta, critico teatrale del Manifesto. Suo vecchio amico, suo primo estimatore. È rivolto proprio a lui il più affettuoso dei complimenti che durante l'incontro Zingaretti riserverà a una serie di amici: gli attori Massimo Popolizio («il più grande della sua generazione, che è anche la mia») e Peppino Mazzotta (il Fazio di Montalbano) il “fratello” Francesco Faggioli che lo spinse a iscriversi con lui all'Accademia, sul finire degli anni Settanta, e fu bocciato. E Luca Ronconi, «il più grande dei registi col quale ho lavorato, tra i più grandi in assoluto». E Alberto Sironi, allievo di Strehler, regista della serie del commissario Montalbano, «messo per tre anni all'indice dalla Rai perché aveva detto che c'erano raccomandati». Regista di prima qualità, assicura Zingaretti, uomo con la schiena dritta, e amante delle sfide. «Pensate che ha scelto Belen come attrice per uno dei prossimi episodi. Era ben cosciente di fare una scelta impopolare, eppure l'ha fatta. In effetti lei è perfetta nel ruolo della dark lady sudamericana del romanzo di Camilleri».
Montalbano diventa l'occasione per una dichiarazione alla quale Zingaretti tiene molto. «Nel 2006 avevo detto: lo lascio, poi ho cambiato idea. Ma credetemi, non l'ho fatto per i soldi, l'ho fatto perché mi diverto». Si divertirebbe ancora di più se qualcuno gli affidasse una commedia. «Fate girare la voce, sono un comico strepitoso. Anche se in privato sono spesso ingrugnito, inquieto, malinconico».
Pronto anche per Shakespeare? lo stuzzica Capitta. E lui si butta. Lo appassiona Otello , lo intriga Riccardo III , un testo straordinario sul potere. E passando dalla finzione alla realtà: «Noi italiani siamo più sudditi che cittadini, ai potenti chiediamo benevolenza, anziché i conti del loro operare. Devo dire che abbiamo toccato il fondo». Ne è la spia il fiorire di festival di letteratura, persino di matematica e di fisica. «In giro c'è un grande bisogno di contenuti. Il teatro può coprire almeno in parte questo bisogno. Il teatro non è un ripiego, è un genere principe di comunicazione. Ben venga chi ne sposa la causa credendoci. E ben vengano i classici».
È un uomo felice, Zingaretti, glielo si legge in faccia. Ed è un attore libero. «La gavetta che maledicevo in passato ora la benedico: posso permettermi di fare solo quello che mi piace. Ho faticato molto, io. A vent'anni ero già così. Pochi capelli, tracagnotto, gambe storte. Ho faticato molto, in anni in cui bastava andare al Maurizio Costanzo Show per diventare attore. E tu intanto facevi l'Accademia, e ti intignavi. Ma adesso posso dire che ho avuto fortuna. Non ho mollato, e sono diventato talmente noto da poter fare ciò che mi piace». Questa preziosa Sirena tratta dalla Lighea di Tomasi di Lampedusa gli piace in modo speciale. Lo affascina la sensualissima storia di una creatura mitologica che seduce per sempre un uomo, portandolo, sul finire della sua vita, a gettarsi in mare per raggiungerla. Lo attrae ancora di più il legame fortissimo tra il vecchio protagonista di questa assurda storia, e il giovane al quale dopo una vita di stizzosi silenzi trova la forza di raccontarla, aprendogli cuore e cervello e dandogli la chiave per accettare la sua scelta suicida. «Questa fiaba per adulti è una metafora dell'amore e dell'amicizia. La magia del teatro è che tutti la trovino così reale e così vera».
MARIA PAOLA MASALA
21/01/2011