Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Alla scoperta dei segreti della Sagrada Familia, iperbole architettonica

Fonte: La Nuova Sardegna
28 dicembre 2010


Una mostra alla Passeggiata coperta illustra le particolarità della chiesa ancora in costruzione

GIANNI OLLA

CAGLIARI. È un invito al viaggio la mostra dedicata a Antoni Gaudì - «La Sagrada Familia. Parabola e iperbole dell’architettura» -, promossa dalla Regione sarda, l’Università e il Comune del capoluogo, curata da Angelo Ziranu, ingegnere di Orani che lavora alla “fabbrica” catalana.
Una fabbrica impegnata, da decenni, a montare il capolavoro incompiuto dell’architetto catalano. La mostra è ospitata in uno spazio che assomiglia ad una moderna cattedrale dell’era moderna: la Galleria Umberto I, o, per i cagliaritani la Passeggiata coperta, che delimita una sorta di confine invisibile tra la vecchia città medievale e la nuova, appunto novecentesca. Dentro quegli spazi immensi si stagliano, al centro, le ricostruzioni delle tecniche costruttive proprio della Sagrada Familia: assomigliano a sculture contemporanee di una bellezza anti referenziale che si colloca ai confini del concettuale.
Ma, di fianco, ecco una documentazione più leggibile: fotografie dei luoghi gaudiani e spiegazioni delle straordinarie tecniche costruttive, nonché dell’ispirazione filosofica che, dalle strutture deborda alle decorazioni e, viceversa, maschera con decorazioni le stesse strutture.
Alla fine del giro si viene colti da diverse sensazioni, a seconda del grado di consapevolezza che il visitatore ha di quel percorso. Le prime due, a portata di viaggiatore o di semplice turista, rappresentano la nostalgia e la curiosità, entrambi rovesciabili come due facce di una stessa medaglia. Per chi è stato a Barcellona, il Tour Gaudì - tra le grandi attrazioni della capitale catalana - è fonte di uno stupore quasi fanciullesco. Non si discute né la stranezza di quei palazzi del Paseo de Gracia (Casa Milà, Clavet e Batllo) che appaiono sbilenchi, panciuti, protesi in direzioni asimmetriche, né del percorso fiabesco (ma da fiaba allucinata) del Parc Guel. Piuttosto le si vorrebbe toccare, verificare se non sono fatte di plastilina come certe costruzioni di bambini. La tecnica, per chi la capisce, viene dopo. E d’altronde, da sempre, nel campo dell’arte, l’emozione viene prima dell’analisi e della critica. Così quando si arriva alla Sagrada Familia, sembra di percepire un’esplosione incontrollata e mostruosa di tutta quella fantasia, e persino l’incompiutezza della costruzione viene accettata come un’avvitarsi, quasi escheriano, del progetto.
Ovviamente, gli specialisti, e tra questi il curatore della mostra, sono in grado di spiegarci che non è questa la lettura giusta. Antoni Gaudì, nato nel 1852, morto nel 1926 investito da un tram, fu prima di tutto un ingegnere straordinario, capace di inventare nuove forme costruttive, magari di difficile realizzazione, ma certo mai casuali. La mostra serve appunto a razionalizzare l’emozione, a spiegare il senso di certe curve e di certe superfici, ma nulla impedirà a coloro che non sono mai stati a Barcellona (o ci sono stati senza vedere opere di Gaudì), di pensare ad un incontro ravvicinato con quei monumenti di marzapane, ideati da un bambino troppo cresciuto.
In mezzo alle due sensazioni parallele, nostalgia e curiosità, si può collocare, infine, una riflessione che riguarda non solo Gaudì, né solamente Barcellona o la Catalogna (che peraltro ha subito l’influenza di quello straordinario inventore: basta vedere il Palau della Musica di Barcellona), ma l’intera Spagna.
Definito giustamente un modernista, Gaudì avrebbe bisogno, appunto di un aggettivo: spagnolo, o, per non urtare la sensibilità nazionalista dei catalani, iberico. La cultura e l’arte, tra Spagna e Portogallo, furono infatti straordinari crogiuoli di esperienze estetiche che mutavano in continuazione, a contatto con invasori e colonizzatori di ogni genere. Sicché anche il modernismo non indica una frattura netta come nel futurismo, ma una nuova sintesi che include piuttosto che rifiutare. Per farla semplice, Buñuel fu surrealista prima di incontrare Breton e, tra i pittori spagnoli, oltre che il Goya delle “pitture nere”, amava Zurbaran, i cui quadri religiosi, a volte, sembrano dipinti in stato di allucinazione da Lsd.
Girando per monumenti, ovvero chiese, ci si stupisce infine, del continuo sovrastare del barocco nei confronti del gotico. Succede dappertutto, ma nella penisola iberica si riesce ancora a distinguere le epoche, anche dentro le mescolanze che includono i vandali e i musulmani, gli ebrei e, finalmente, i cattolici, dallo splendore della cattedrale di Toledo alla tetra graticola dell’Escorial di Filippo II. Guardando la Sagrada Familia sembra che Gaudì abbia affastellato certe suggestioni: il gotico si gonfia e espande le mostruosità delle sculture dei portali fino alle strutture portati, poi si trasforma in barocco, e quindi confina con lo stile floreale (per Gaudì la natura), ma sempre attraverso nuove esagerazioni e nuove espansioni. Insomma, una mostra piccola ma intrigante, che farà felici anche gli operatori turistici. Tutti a Barcellona la prossima primavera.