Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Antonia Pozzi, che sapeva rubare l'anima alle cose

Fonte: L'Unione Sarda
7 dicembre 2010

Rassegne Il ricordo della poetessa
“Rifammi tu degna di te, poesia che mi guardi”. Pazza l'idea di far girare un tram per Milano con una poesia di Antonia Pozzi nello spazio per la pubblicità. A ventisei anni, il 3 dicembre 1938, questa ragazza col dono della parola alata, si stende su un prato bianco di neve di Chiaravalle e aspetta che i barbiturici facciano effetto. Pazza l'idea finale, pazza anche quella di tutta la breve vita: scrivere versi, “rubare l'anima delle cose” per troppa empatia col mondo, “per troppa vita che ho nel sangue”. Ma troppa vita nel sangue non è socialmente conveniente per una ragazza di ottima estrazione, “disordinata” di un disordine emotivo che non si addice a chi dovrebbe privilegiare un compassato stare nei propri ranghi, ricamando e suonando il piano, leggendo e conversando pacatamente. Antonia, come la protagonista del film di Marleen Gorris L'albero di Antonia , è invece donna che percorre la vita “a cuore scalzo”. Si innamora a quindici anni del suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, amore contrastato dal padre, amore imploso, incancellabile anche quando la poetessa si illuderà di avere trovato altri rispecchiamenti per la sua anima. A cuore scalzo è il titolo, estrapolato da una sua poesia, della serata conclusiva di “Pazza idea”, domenica sera al Ghetto di Cagliari, - cinque serate dedicate dai Presìdi del libro, capitanati dallo scrittore Giorgio Todde, al concetto di follia quotidiana declinata nelle forme più diverse: dal male oscuro che, affidato alle strutture psichiatriche, porta al collasso della vita, nel toccante film di Alina Marazzi, la prima sera, ad un'altra forma di isolamento del “socialmente diverso” in questa toccante celebrazione di una delle voci femminili italiane più alte, a chiusura della rassegna ideata da Mattea Lissia ed Emilia Fulli.
Negli anni del ventennio, a una donna si addicevano altre propensioni, in primis quella per la famiglia. La famiglia di Antonia Pozzi è invece una famiglia di emozioni che ogni giorno ed ogni notte, costantemente, la tengono in contatto con un mondo parallelo, quello della sua profonda sensibilità, generatrice di parole che sgorgano con una grazia concessa solo a poche altre poetesse. Dono - carisma, in senso biblico - da nutrire, da solidificare in qualcosa che resti. Restano, di Antonia Pozzi, più di 300 poesie, lettere e diari. E circa tremila scatti, perché la fotografia è stata l'altra sua chiamata. Ne ha parlato, domenica, Graziella Bernabò, sua appassionata biografa e curatrice, assieme a Onorina Dino. Scritti mai pubblicati mentre la Pozzi era in vita, stroncati, rifiutati: ora anche a Berlino si organizzano giornate di studio. E in Italia, oltre a biografie ed edizioni dei suoi versi, la figura di questa Emily Dickinson nostrana è stata celebrata in un film di Marina Spada, presentato al Festival di Venezia nel 2009, e al Ghetto, domenica. Si intitola Poesia che mi guardi : il tram per Milano con i versi è una delle sorprese più belle. La regista ha citato ciò che diceva Erik Rohmer: «La poesia è infilmabile». Pazza, quindi, anche l'idea della Spada di realizzare un film sulla Pozzi. Invece no: questi cinquanta minuti scorrono come un'elegia, mentre ricordano il cinema russo di Sokurov e Tarkovskij, per silenzi e immagini di natura. E per una sensibilità che è sempre dono supremo, antidoto alla fine del valore dell'interiorità, che è la fine di tutti i valori.
RAFFAELLA VENTURI

07/12/2010