Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Centenari, tra orgoglio e memoria

Fonte: La Nuova Sardegna
19 novembre 2010

La pattuglia più numerosa dell’isola vive in città: sono trentotto e le donne sono il doppio degli uomini



L’avvocato e la casalinga, il militare e l’operaio raccontano il loro secolo




BETTINA CAMEDDA
CAGLIARI. Trentotto, divisi tra venticinque donne e tredici uomini: sono il tesoro della città, il più nascosto e da proteggere. Fanno parte della pattuglia dei centenari sardi.
Medici e studiosi da tutto il mondo ne hanno analizzato le abitudini, l’alimentazione ma il fenomeno dei centenari resta ancora tutto da scoprire perché il fascino della vita eterna seppure irreale seduce ancora tanto quanto il fantomatico elisir di lunga vita. La loro è una storia diversa da quella che si legge sui libri. Qui le pagine lasciate in bianco assumono un’altra connotazione perché laddove le parole non sono necessarie lasciano il posto ad un gesto, un sorriso, una smorfia, una lacrima di gioia o di dolore.
Sono emozioni che giorno dopo giorno scavano il volto, lo segnano lentamente e lo plasmano alla vita, rendendolo unico. È una bellezza lontana dai canoni contemporanei che ci vogliono tutti uguali. Ne sanno qualcosa i pronipoti di Maria Picchi, centouno anni «ma ne dimostra sedici», dicono in coro.
La signora Maria che ha vissuto entrambe le guerre si sofferma su un ricordo «da piccolina durante la guerra non c’era lo zucchero e noi bevevamo sempre il caffellatte. Non c’era niente». Non c’è tristezza nella sua voce, segnata dal tempo ma non dalle vicissitudini di una vita. E quando le si chiede il suo segreto risponde senza pensarci su: «sono “zitella” ecco perché vivo così tanto». Voce vivace, fiera e orgogliosa è quella dell’avvocato Francesco Aru. Difficile credere che il 25 settembre scorso abbia compiuto cento anni. E l’avvocato ricorda bene quel giorno. «Mi hanno fatto una grande festa anche tutti i giudici della Corte d’Appello perché io sono ancora iscritto all’albo e mi hanno detto che sono l’avvocato più vecchio. Anche l’assessore con la fascia tricolore mi ha regalato una bellissima medaglia». Poi sempre sorridente e con i suoi modi garbati sottolinea, «sono stato avvocato, guerriero e quando ero giovane anche atleta». Una vita intensa quella del signor Francesco, nato a Guamaggiore, felicemente sposato e con tre figli «due magistrati e una dirigente»», più tre nipotini che spesso gli portano dei disegni e i compiti nei quali hanno preso un bel voto. «Per mia grande fortuna siamo una famiglia unita - racconta l’avvocato - io mi sono sposato da vecchio sa? A cinquant’anni perché prima ero capitano di artiglieria nel Sulcis». Parla di vecchiaia eppure la sua gioia si distacca da quella stagione che molti descrivono cupa e priva di interessi. «Vuole sapere i miei segreti? - domanda l’avvocato - mi piace essere amico di tutti e seguo i principi dei romani: ciascuno è medico di stesso e tutto ciò che piace fa bene. Poi continuo a fare movimento perché ho un bel giardino e ho tutta l’attrezzatura per lavorare la terra. E tutte le sere vado in studio con la speranza che qualcuno venga a portarsi via le carte e che si avvicinino i vecchi clienti perché mi devono pagare: era una mia abitudine non chiedere soldi». Sorride il signor Francesco ed è una risata contagiosa la sua perché è limpida. Ci si potrebbe specchiarci sopra e sentire la serenità, figlia dell’esperienza, e ancora la voglia di fare che il tempo, seppur tiranno, non è mai riuscito a levargli. Altra vita, altra storia altrettanto emozionante quella del signor Domenico Columbano: centouno anni compiuti il 26 ottobre scorso e non sentirli. E al suo fianco la bella moglie Ione Massani, di novantatrè anni, forte e combattiva quanto lui. «Mio padre mi diceva sempre che le donne devono avere gli stessi diritti degli uomini». Infatti è lei, la maggiore di quattordici figli, che racconta con orgoglio la loro vita intensa a partire dal primo incontro. «Insegnavo alle scuole elementari e quando Mussolini ha fatto aprire le scuole nelle miniere mi sono trasferita lì dove mio marito era responsabile delle officine. Ci siamo conosciuti al ballo degli operai. Prima di lavorare in miniera - racconta la signora Ione - mio marito era ufficiale di macchine della compagnia di Trieste e quando è scoppiata la guerra si trovava in Sudafrica. Il primo giorno di guerra è stato fatto prigioniero per sei anni ma l’hanno trattato bene. Però - precisa - io l’ho conosciuto dopo».