VENERDÌ, 01 AGOSTO 2008
Pagina 37 - Inserto Estate
«Il diavolo e l’acquasanta» giovedì all’anfiteatro romano di Cagliari e oggi al «Maria Pia» di Alghero
Anteprima nazionale della produzione della Via del Collegio
ROBERTA SANNA
CAGLIARI. «Il diavolo e l’acqua santa»: titolo e dichiarazione d’intenti, compresenza degli opposti, come bianco e nero, o pane e cioccolata. Come un grande maestro di teatro e un attore comico e conduttore televisivo sullo stesso palcoscenico. Più che una contaminazione di generi, è l’alternanza di due mondi, un montaggio parallelo, uno strano zapping tra grande drammaturgia e varietà, tra monologhi shakespeariani e pezzi da cabaret. Giorgio Albertazzi ed Enrico Brignano, oggi all’anfiteatro Maria Pia di Alghero (ore 21), il giorno precedente in quello romano di Cagliari - in anteprima nazionale, complice la produzione della locale associazione La via del Collegio - hanno dimostrato che tutto ciò è possibile, ma ancor più curioso e piacevole, come in cucina l’alternanza di sapori contrastanti. Dolce e salato. Tragedia e sketch.
Gusto da assaporare fin dall’inizio, con le iperboli introduttive di Brignano, l’annuncio di grandi scenografie e 84 ballerine croate («nude come dio le ha croate, ma trentatre son di Trento») in arrivo coi traghetti. Albertazzi osanna la Sardegna (di «belle donne, Porto Rotondo, evviva perfino Cossiga») e punta alto: il «Giulio Cesare» di Shakespeare. Brignano è Bruto, e la voce, un po’ arrochita, di Giorgio Albertazzi prima introduce con cenni di regia, poi è mirabile nella celebre orazione funebre di Marco Antonio.
Come in un amichevole duello, i due attori, recentemente protagonisti (Albertazzi nei panni di Puck, Brignano di Bottom) di un «Sogno di una notte di mezza estate» riscritto come un musical dallo stesso Albertazzi, si dividono la scena e lo schermo video che inquadra i primi piani. Legando i monologhi con gli intermezzi al pianoforte del maestro Marco Di Gennaro, abile a seguire in chiave jazz anche i toni della recitazione, e con i dialoghi di raccordo, semiserio, si gioca anche la parte del maestro e dell’allievo. Il primo sorridente, ironico e generoso, il secondo sollecito, garbatamente umoristico. «Il diavolo è la commedia», ricorda Albertazzi.
Allora Brignano disquisisce sull’italiano e sulle lingue straniere con relative battute e battutacce, poi si scatena in una volata di dialetti senza soluzione di continuità, un unico discorso che percorre l’Italia da Nord accalorandosi mentre cala a Sud, per finire in un applaudito Ballu tundu. Un pezzo di bravura nobilitato dalle successive citazioni dantesche di Albertazzi, magistrale nel canto di Ulisse della Divina Commedia. Personaggio prontamente ripreso dal comico, in una esilarante ricostruzione da alunno maccheronico dell’assedio di Troia (doppi sensi, il falegname “Ikea” costruttore del celebre cavallo, con ingresso fisiologico dal retro) con annesse considerazioni anche canore su scuola e dialogo in famiglia. Il finale è una grande lezione di recitazione, di Teatro, e il brivido del contrasto sollecita la meraviglia. Amleto ci invita ad Elsinore. Alla scena con il teschio di Yorick (”questa sì, è rivoluzione” fa notare il maestro”), maneggiato con un drappeggio, quasi un doppio, si unisce il racconto della pantomima dell’assassinio del re e il monologo dell’essere o non essere. Straordinaria sintesi dell’intera tragedia. Ora tutti hanno capito: «il diavolo è il Teatro» conclude Albertazzi. E nei saluti al pubblico plaudente è Prospero della «Tempesta», fatto “della stessa sostanza dei sogni”, natura della teatralità che non teme le contaminazioni in apparenza meno sensate, ma trova nuove strade per rivivere ogni volta sulla scena.