Come vogliamo definirlo? Uno show da diporto? Teatro sfuso con macchie di cabaret, per blando uso stagionale? Volendo bene alla strana coppia sul palco, una secchiata d'acqua tiepida in una calda notte di fine luglio. È davvero poco altro Il diavolo e l'acquasanta in scena ieri all'Anfiteatro di Cagliari, protagonisti - rigorosamente per conto proprio - Giorgio Albertazzi ed Enrico Brignano.
A proposito, perché il diavolo e perché l'acquasanta? Mah. Alla fine Albertazzi dice che il diavolo è il teatro e l'acquasanta Yorick, o il suo teschio. Una cosuccia a effetto, il reale significato dell'accostamento resta un mistero. Forse perché lo spettacolo vorrebbe mescolare alto e basso, classico e andante, risata facile e difficile? Oppure perché non è, e non sarà mai possibile, nel territorio dell'arte, capire cosa è demoniaco? Troppa umidità, per rifletterci con calma, e probabilmente nemmeno gli autori saprebbero spiegarlo con precisione.
Che non sarà un capolavoro si intuisce subito. Quando un comico (Brignano) utilizza l'autoironia da avanspettacolo (“Signori, sarà straordinario, con ballerine e scenografie”) va da sé che punta sull'usato sicuro. Se poi il maestro (Albertazzi) entra in scena più o meno saltellando e saluta la Sardegna come terra produttrice di Paolo Fresu e («perfino») di Cossiga, del genere rockstar a caccia di benevolenza, facile lasciarsi andare al sospetto. Cos'è allora il grande show? Semplice: frammenti dei cavalli di battaglia di un grande attore, un pizzico di simpatia di un buon cabarettista, un pianista che non ha molte possibilità di farsi valere, e Shakespeare. Eh sì, il solito William, che non delude mai. E se proprio non si vuol rischiare niente - davanti a non troppi spettatori - tiriamo in ballo anche Dante Alighieri. Così Giorgio inanella il Giulio Cesare (“Bruto è uomo d'onore”), l'Ulisse dantesco (“Considerate la vostra semenza”) e Amleto (“Essere o non essere”) che certo non gli sono sconosciuti. Per salutare, una spruzzata della Tempesta . Brignano invece racconta la storia di Ulisse come uno scolaro esperto in scopiazzature, inserendo nella vicenda - per far ridere - un falegname di nome Ikea, ricama (una novità) sui significati storici del termine “Troia” e offre un saggio di dizione pandialettale. Uno esce e l'altro entra, per un'oretta e mezza. Bravi, bravissimi, nel loro genere, ma assolutamente divisi. Niente alchimie. Gag e virtuosismi alla rinfusa, poi tutti a casa.
Domanda, ma non era lecito attendersi una fusione? Insomma, uno spettacolo vero, costruito, che desse l'idea (una piccola idea) di creatività, di simbiosi originale se non favolosa? Il diavolo e l'acquasanta, appunto, ma nello stesso calderone, con qualche effervescenza. Albertazzi non merita di entrare in “Zelig” e Brignano forse merita di uscirne. Ma non stasera.
ROBERTO COSSU
31/07/2008