Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Guerriglia a Cagliari, dodici feriti

Fonte: La Nuova Sardegna
20 ottobre 2010



Esplode la protesta dei pastori davanti al palazzo del Consiglio



CAGLIARI. La cronaca che nessuno voleva sentire, eccola qui. Purtroppo. È implacabile, drammatica, violenta e assurda. Alle 17.44, in Via Roma, sotto le vetrate del Consiglio regionale, c’è stato il temuto corpo a corpo. È stato orribile. È stata una mezz’ora di fuoco: dodici i feriti, sette gli arrestati. Tremila pastori del Movimento su un fronte, cento fra poliziotti e carabinieri sull’altro. È un bollettino di guerra. In un caos indescrivibile, è scoppiato il caos: sassaiole, lancio di bottiglie, cariche, manganellate, lacrimogeni, sangue e urla. Dovunque.
Quando la violenza è esplosa, ha travolto gli uomini in maglietta azzurra, gli uomini in divisa, tutto e tutti. Anche la ragione da qualunque parte fosse o fosse andata a finire. Purtroppo, all’inferno.
In un attimo c’è stata un’ondata, furiosa, che ha spazzato via il corteo pacifico dalle dieci all’una del Movimento, dal piazzale della Fiera a Via Roma, e anche i sindaci sul palco, commoventi nei loro appelli. Poi anche l’incontro del pomeriggio, a muso duro ma carico di buoni propositi, fra i capigruppo della Regione e la delegazione del Movimento, che poi occuperà una delle aula al secondo piano. Alle 17.44 non è esistito più nulla.
In un minuto è piombata la maledizione, nel quadrato intorno al Consiglio ed è stato un uragano. Cosa abbia scatenato la follia è ancora incomprensibile, a caldo. A mezzanotte le versioni sono rimaste contrapposte, come sempre accade quando soffiano i venti di guerra.
I pastori dicono di essere stati caricati a freddo dalla Brigata mobile, carabinieri, e dal Reparto mobile, polizia: «Con sfollagente e lacrimogeni, hanno colpito alla cieca. Volevano spaccare le teste, ci sono riusciti. Hanno gonfiato le gambe a un ragazzino di quattordici anni: perché? Se la sono presa con bambini, donne e padri di famiglia. Uno di noi perderà un occhio, gli hanno tirato addosso due fumogeni: perché? A un altro di Ovodda gli hanno spaccato i denti con le cartucce dei lacrimogeni, in metallo, sono lunghe dieci centimetri: perché? Le nostre bandiere sono macchiate di sangue. Del nostro sangue innocente», grideranno i testimoni. Molti di loro sono ancora malconci, piangono, si aggrappano l’uno all’altro, tutti hanno in gola il gusto terribile del fumo sparato da fucili d’ordinanza che ricordano gli spara-acqua sulla spiaggia. Per chi sta da questa parte è stato un massacro, applaudito con ironia e condannato al grido: «Assassini, assassini».
Sull’altra barricata, chi era a capo delle truppe in assetto anti-sommossa - caschi, manganelli, scudi e giubbotti spessi quattro dita - racconta una versione a cui i pastori non credono. Poliziotti e carabinieri dicono di aver caricato, per non essere sopraffatti dopo essere riusciti a respingere, in sette ore, almeno quattro assalti al Consiglio, un tentativo di sfondamento nell’ammezzato e costretto una decina di pastori a infilarsi in un’utile scala anti-incendio: «Gli abbiamo fatti sfogare là, tanto non portava da nessuna parte». Sopraffatti da cosa? Da un lancio improvviso, alle 17.40 di bottiglie, sassi e transenne, in Via Porcile e in Via Lepanto, le strade ai lati del Palazzo. È vero, in quel momento sono stati bersagliati con jchnusa piene, lattine di coca-cola tappate, pietre strappate dal selciato, grandi un pugno e pesanti da spaccare la visiera a un poliziotto, adesso ricoverato in ospedale con la mascella fratturata. Chi ha sparato addosso alle truppe quei proiettili raccolti in giro? I pastori dicono di non essere stati loro, ma in sette saranno trascinati dentro i blindati, per resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. C’è ancora molto da capire e soprattutto saranno i video della Scientifica a confermare se nell’attimo della sassaiola, dentro il corteo, si erano infilate delle “mele marce”. C’è chi ha parlato di estremisti con il volto nascosto da passamontagna e caschi: loro volevano lo scontro e l’hanno avuto. Gli altri sono caduti in trappola. Se i provocatori c’erano, nessuno è riuscito a isolarli prima della battaglia. Durata mezz’ora, con feriti da una parte e dall’altra: almeno dodici, due quelli gravi, nella prima conta dentro le ambulanze, sette, arrivate da ogni parte. Si è visto di tutto in quei trenta minuti d’inciviltà: dalla monumentale marcia a ranghi compatti delle forze dell’ordine allo spaventoso fuggi fuggi dei manifestanti sotto i portici, con i negozi che abbassavano in fretta le serrande e decine di tavolini, quelli dei bar, finiti subito nel retrobottega. Poi ancora gente del Movimento piegata in due dalle botte, nel piazzale del porto, nel quartiere della Marina, e sull’altra barricata, al centro della strada, due carabinieri salvati a stento dal linciaggio. È stato un susseguirsi di fotogrammi pazzeschi. A cominciare dalla madre che ha fronteggiato da sola quattro poliziotti grandi e grossi, per vendicare il lacrimogeno esploso a cinque centimetri dal passeggino e dalla figlia di due anni. Poi il funzionario della Digos circondato, strattonato, contro-caricato fino a quando non gli hanno strappato il maganello dal polso, lussato. E ancora: i cassonetti incendiati ai piedi della scalinata parallela al Consiglio e quelli rovesciati nel budello-parcheggio tra i due lati di Via Roma.
È stata anche una bolgia di rumori. Rumori bestiali: le vetrate della Regione saltate, spaccate, con tre schegge che hanno colpito di striscio una passante, il cigolio delle serrande del garage regionale, in Via Lepanto, quando i più cattivi hanno cercato di rovesciarlo addosso agli agenti. Oppure quello indescrivibile e infernale degli anfibi o degli stivali sulle centinaia di bottiglie in frantumi, un tappeto, davanti all’ingresso principale del palazzo assediato, difeso e assediato ancora una volta. Poi un altro rumore spaventoso, quello dei manganelli battuti sugli scudi dagli anti-sommossa schierati su due fila per liberare il campo fino alla Rinascente.
Ci sono riusciti con il sostegno di nove furgoni col parabrezza rinforzato e due blindati, gli stessi che si vedono fuori dagli stadi. Macchine da difesa, che tutte insieme hanno acceso le sirene, per un concerto assordante capace di zittire una piazza allo sbando. Doveva per forza finire così? No, anche se gli animi erano già caldi dalla mattina presto, quando i pastori si sono ribellati all’ordine arrivato dalla prefettura: perquisite gli autobus prima che entrino in città. Non doveva finire così e non sarebbe finita così se la politica fosse stata pronta a dare almeno una risposta concreta a chi era in viaggio dall’alba, per salvare gli ovili e le campagne. E invece nessuno della Giunta, Cappellacci o Prato, si è visto in Consiglio nella lunga giornata della protesta e solo l’intelligenza dei capigruppo ha evitato la guerra civile.
Lo ha riconosciuto anche Felice Floris, il leader del Movimento dei pastori, nel suo ultimo comizio a notte fonda, dalla finestra della sala occupata, con altri undici, del Consiglio: «Finalmente ci hanno ascoltato. E ora facciamo colletta per chi è stato arrestato: non dobbiamo farlo finire in carcere».
Oggi è un altro giorno, il presidio continua, ma che la notte porti consiglio. A tutti.