Al Sant’Elia episodio deprecabile ma «solo di una minoranza»
«Ho vissuto a Parigi, Ginevra e Torino. Ma soltanto a Cagliari non mi sono mai sentito uno straniero». Quei buuh razzisti all’indirizzo del giocatore dell’Inter Samuel Eto’o suonano molto strani alle orecchie del libanese Hamze Jammoul, vice presidente della Consulta provinciale giovanile. «Sono qui da cinque anni e non ho mai avuto problemi».
IL SINDACO. Eppure quei cori, rimbalzati attraverso i mass media, hanno avuto l’effetto di disegnare Cagliari come una città xenofoba. Un quadro assolutamente indigesto per il sindaco Emilio Floris. «Se abbiamo proposto Cagliari come capitale del Mediterraneo», sostiene, «è proprio perché la città ha lo spessore sociale e umano per esserlo. Per dimostrare questo non servono le parole di un sindaco: è la storia che parla». E anche la cronaca. «La Marina rappresenta un esempio di integrazione».
IL VOLONTARIATO. Proprio in quel quartiere operano associazioni di volontariato che si occupano di stranieri. Come Alfabeto del mondo, gruppo che, tra l’altro, si occupa di insegnare l’italiano agli extracomunitari. «Abbiamo rapporti», afferma la docente di inglese Simona Atturo, «con persone che arrivano da tutto il pianeta. Nessuno ci ha mai parlato di episodi di razzismo. Né in questo, né in altri quartieri».
LA SCUOLA E L’UNIVERSITÀ. Neanche a Sant’Elia che spesso finisce (a torto) nel mirino. «Sono convinta», interviene Valentina Savona, dirigente scolastica nella scuola del quartiere ed ex assessore provinciale alla Pubblica istruzione, «che quei cori servissero soltanto a far conquistare a una parte della curva cinque minuti di notorietà. Tra l’altro, il Cagliari ha sempre avuto giocatori di colore: non credo proprio che la tifoseria e, ancora di più la città, possa essere razzista ». Il calcio non può essere considerato il termometro di una società. «In questa realtà», afferma Aldo Berlinguer, docente di diritto privato comparato nella facoltà di Giurisprudenza, «si condensa una frangia minoritaria di tifosi aggressivi. Davvero un peccato anche perché lo sport dovrebbe avere la funzione di momento di aggregazione sociale».
LA CULTURA. L’assoluzione arriva da tutti i settori. Anche se quei cori devono rappresentare un campanello d’allarme. «Perché», spiega il tenore e scrittore Gianluca Floris, «l’Italia di oggi sta diventando razzista e Cagliari è in Italia. Purtroppo, sempre più persone non si vergognano di essere xenofobe. Comunque, nella nostra realtà il fenomeno si sente meno che in altre città». La pensa allo stesso modo il regista (e docente di Lettere) Enrico Pau. «La paura dell’altro è dettata dall’ignoranza. Nel senso che i razzisti davvero ignorano la ricchezza che arriva dal confronto con gli altri». Quei cori, comunque, sono stati puniti. «Sono tifosissimo del Cagliari. Ma, per una volta, ho vissuto il gol di un avversario come un atto di giustizia ».
LA POLITICA. Ma l’imbarazzo resta. «Non è stato facile», interviene il presidente della Circoscrizione 4 Alessandro Sorgia, «spiegare a mio figlio la ragione della sospensione della partita. Comunque, su ventimila persone, erano in pochissimi a fare quei cori. La città non è razzista ma non bisogna mai abbassare la guardia ». Quegli insulti rientrano in un’altra categoria. «Che piaccia o meno», aggiunge il consigliere comunale Claudio Tumatis, «nello stadio vigono regole diverse da quelle che vengono applicate nella vita di tutti i giorni». L’ultima riflessione è del consigliere regionale Massimo Zedda. «Ci sono incivili ma Cagliari non è una città razzista. D’altronde, come potrebbe esserlo visto che è più vicina all’Africa che alla Penisola? ».
MARCELLO COCCO
HANNO DETTO
Emilio Floris:
«È la storia a dire che non siamo xenofobi
Massimo Cellino:
«Cagliari non è una città intollerante, non lo è mai stata e mai lo sarà per cultura e rispetto»
Giancarlo Abete:
«Bravo Tagliavento e fondamentale la collaborazione tra arbitro, quarto uomo e ordine pubblico»