Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il successo? Politica e sport

Fonte: L'Unione Sarda
4 ottobre 2010


Michele Di Martino: a 80 anni ancora sulla breccia

 
di CARLO FIGARI

 Venticinque anni come amministratore comunale. Due e mezzo da sindaco, dall'autunno 1981 alla primavera dell'84. «Per quei tempi non è stato poco, allora i sindaci duravano in media un anno». Nella "Balena bianca" ci è arrivato tardi, a metà degli anni Settanta con il "buon" Zaccagnini che tentava di dare un nuovo volto alla Democrazia cristiana dei vecchi notabili. Nella Dc si ritagliò subito un ruolo di prestigio diventando il referente cagliaritano degli Andreottiani. Al Cis dal 1957, una carriera in crescendo sino ai massimi vertici. Nel 1990 viene considerato al secondo posto nella classifica dei finanzieri più potenti della Sardegna, dietro solo a Lorenzo Idda presidente del Banco di Sardegna. Da sempre una poltrona in numerosi consigli di amministrazione. Ma è anche un uomo di sport, dirigente di lungo corso anche se ricorda con orgoglio i suoi trascorsi giovanili di pallanotista nella piscina a mare di Su Siccu. Col Cagliari prima e dopo il mitico scudetto, presidente di Esperia, Canottieri Ichnusa e Panathlon Club. Detto questo, facile indovinare l'identità del personaggio: Michele Di Martino. Il suo curriculum riempie un'intera paginetta del "Chi è della Sardegna" di Gian Giacomo Nieddu.
Sabato scorso ha spento in famiglia l'ottantesima candelina. Un bel traguardo, vissuto con l'entusiasmo di un uomo che non sa cosa sia la pensione. Un aggettivo? Immarcescibile o inossidabile, scegliete voi perché Di Martino è il clone di se stesso nel tempo. L'uomo col sorriso stampato in cinemascope, pronto alle strette di mano e alle pacche sulle spalle, amico di tutti. Difficile trovare qualcuno che ne parli mali, se non per invidia. È questa la sua forza, dicono di lui, la sua incredibile capacità di stare sempre a galla e di avere sempre un posto di rilievo.
Chi è Michele Di Martino?
«Un cittadino che ama Cagliari, lo sport e il suo lavoro. E che ha amato la politica in senso stretto. La politica di una volta, intendo, quando andavo in giro per i rioni, per i campi sportivi, le parrocchie. La porta del mio ufficio di assessore o di sindaco era sempre aperta».
Che cosa avrebbe voluto fare che non ha fatto?
«Mi sono posto spesso questa domanda guardando al passato. Se rinascessi vorrei rifare tutto allo stesso modo. Ammetto di aver avuto le più grandi soddisfazioni, sino ad essere eletto primo cittadino della mia città».
C'è qualcuno che vorrebbe ringraziare?
«La mia famiglia. Mio padre era in polizia, dopo la guerra e lo sfollamento non è stato facile mandare avanti sette figli. Eppure ci ha fatto laureare tutti. Mia moglie e i miei figli mi sono stati sempre molto vicini, nonostante i miei impegni quotidiani. E poi il senatore Efisio Corrias, un galantuomo come oggi non è neppure pensabile di trovare paragoni, al quale devo molto per la politica e per la mia carriera di dirigente finanziario e sportivo».
Corrias è stato presidente della Regione, del Cis (Credito industriale sardo) e del Cagliari dello scudetto. Perché si sente debitore?
«Mi conosceva da giovane funzionario del Cis. Fu lui a chiedermi di entrare in politica. Zaccagnini voleva portare una ventata di nuovo nel partito. Prima rifiutai, poi Corrias mi fece capire che ogni cittadino ha il dovere, se può, di partecipare all'amministrazione della vita pubblica e alle attività sociali».
Così si candidò al Comune: novemila voti subito, settemila nel 1990, 15 mila nel 1994 con il Ppi del dopo Tangentopoli. Nel tempo ha conservato i suoi consensi. Lei ed Eugenio Baghino eravate i proconsoli di Andreotti in Sardegna.
«A dire il vero fui io a far conoscere Baghino ad Andreotti. Come dirigente del Cagliari ero amico di Franco Evangelisti, presidente della Roma e ascoltatissimo uomo di fiducia del senatore. Ci invitò a Roma e insieme andammo all'incontro con Andreotti».
Com'era la politica dei suoi tempi?
«Nella prima repubblica dominavano gli equilibri tra le correnti, soprattutto all'interno della Dc. Per questo un sindaco o una giunta erano sempre in bilico».
Da dove venivano i suoi consensi?
«Sicuramente dall'area cattolica. Sono cresciuto con i Salesiani e con gli ideali del cattolico. Per questo per me fu naturale entrare nella Dc».
È stato a lungo assessore ai servizi sociali e allo sport. Dicono che da questi incarichi derivino le sue fortune politiche.
«È vero. Prima di me non esisteva un assessorato allo sport. Ho capito che c'era tanto da fare per la città dove non esistevano impianti rionali. Così ho istituito un ufficio tecnico e siamo andati a scovare tutte le aree libere di periferia, ho aperto campi nelle parrocchie e nei quartieri popolari. Ho ristrutturato il campo Coni di viale Diaz, molto frequentato dalle scuole e la palestra della boxe, oggi abbandonata».
Non c'era manifestazione a cui lei non presenziava. Una coppa non si negava a nessuno. Un bel bacino di clientele.
«Diciamo che ero vicino alla gente, i cittadini sapevano della mia disponibilità. Sono stato assessore ai servizi sociali e conoscevo bene i problemi dei più deboli. Credo che la gente mi considerasse un amico. La simpatia ha pagato».
Ha mai sistemato figli di amici?
«Molti. Ho avuto tante richieste e quando è stato possibile l'ho fatto».
Che cos'era la vecchia Dc?
«Un insieme di persone che nel dopoguerra ha cercato di rilanciare il paese sotto l'aspetto economico e sociale. È stato possibile grazie a uomini di primaria importanza. Qualcuno oggi lo rimpiangiamo».
Chi può considerare l'erede della Dc?
«Ciò che rappresenta Casini nel senso centrista della parola. Sta cercando di creare un nuovo centro».
Che differenza c'è tra i politici di ieri e di oggi?
«Oggi è difficile credere nella politica, si è un po' svilita. Mi auguro che si riesca alla fine a mettere insieme i moderati».
Nel '94 lei col Ppi si trovò alleato di Forza Italia.
«Quando Berlusconi entrò in politica fece sì che il paese restasse in un quadro centrale. Casini e Buttiglione erano con lui. Per quanto mi riguarda allora rispecchiava le mie idee».
Berlusconi viene accusato di gestire il potere pubblico come un'azienda. La sua Dc agiva in ben altro modo.
«La politica è l'arte del mediare. Berlusconi appare eccessivo, è vero. Però sui giornali e alla tv vediamo che non si sta facendo vera politica. Il dibattito è su altri temi».
Fini ha messo in discussione il potere del capo. Che ne pensa?
«Hanno realizzato insieme e volutamente il Pdl. Per mia esperienza, dopo che si fa una scelta, si porta con coerenza sino in fondo. Le contrarietà vanno discusse e risolte all'interno delle coalizioni o dei partiti».
La sinistra potrebbe essere un'alternativa?
«Sono molto divisi, non vedo nell'attuale opposizione un'alternativa unitaria».
Elezioni in primavera?
«Non so, vedremo a fine mese cosa accadrà in Parlamento. Mi auguro però che non si torni a votare subito».
Da sindaco, quali sono stati i problemi più difficili da affrontare?
«Ai miei tempi il sindaco e la giunta non potevano decidere come oggi, come hanno potuto fare Delogu e poi Floris. Eravamo sempre in ostaggio del vento politico. Per questo un sindaco non durava a lungo. Il primo problema era trovare finanziamenti».
Per cosa dobbiamo ricordarla come sindaco?
«Riuscii a completare il depuratore a Is Arenas. Sino ad allora le fogne scaricavano nel porto. Per una città è un'opera fondamentale, così come il Piano dei servizi che consentì di portare avanti il Piano regolatore. E poi il restauro dell'Auditorium di piazzetta Dettori e della Passeggiata coperta, i progetti di Cagliari "città pulita" e delle palme al Poetto».
Che cosa non ha potuto realizzare?
«Il porto turistico di via Roma, così come sta prendendo forma. Ritengo che il presente e il futuro della città siano legati al turismo. Tutti dobbiamo lavorare perché questo avvenga».
Chi vedrebbe bene prossimo sindaco? Si cominciano a fare i nomi dei candidati. C'è anche una donna, Ada Lai.
«Perché no? Sarebbe la prima donna sindaco. E poi Ada Lai è un alto dirigente che conosce la macchina del Comune come pochi».
Lei è stato considerato uno dei finanzieri più potenti della Sardegna. Al Cis aveva la facoltà di decidere i finanziamenti per le imprese. Con i fondi del Cis si sono creati imperi economici e politici.
«Il potere era quello di decidere quali interventi potessero veramente migliorare la Sardegna, considerando il ritorno economico e sociale nel territorio. In questo modo ho agito».
Chi è oggi un potente in Sardegna?
La risposta è un sorriso. Troppi amici. Non sia mai che qualcuno si offendesse.
La Sardegna è in ginocchio. C'è qualche speranza di uscire dalla crisi?
«In quarant'anni di lavoro al Cis ho visto crescere l'isola, sviluppare tutti i settori. In questi ultimi tempi la crisi non ha risparmiato nessuno. Pensiamo ai pastori e all'agricoltura. Dobbiamo rimboccarci le maniche. Tutti. Solo così si può rispondere alla concorrenza ».
Di Martino sportivo. Chi è stato il miglior presidente del Cagliari?
«Sono legato alla squadra dello scudetto. Corrias fu il presidente, ma devo ricordare Rocca e soprattutto Marras che seppe fare grande un piccolo club provinciale. Io fui dirigente con tutti loro».

03/10/2010