Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Tragedia di una donna senza nome

Fonte: L'Unione Sarda
5 maggio 2008

Teatro. Alle Saline di Cagliari successo per la pièce dell'Effimero Meraviglioso
Tragedia di una donna senza nome

Dove può condurre una vita fatta di passione? Alla felicità o alla disperazione: le probabilità sono le stesse, il risultato opposto. Il tormento del vivere imprigiona lentamente l'anima della sua vittima, poi la squassa e alla fine la trasforma in un killer di se stessa. O in un angelo. Di questo felice epilogo si dibatte poco, però, perché non è pane per scrittori e autori teatrali. Massimo Carlotto, nel suo romanzo Niente più niente al mondo pubblicato nel 2004, non racconta né di angeli né di felicità, ma di disperazione: quella ostinata, roba forte per chi non ha più sogni. Una tragedia familiare che l'attrice Miana Merisi e la regista Maria Assunta Calvisi portano sul palco con un impegno sostanziale. Con precisione chirurgica, tracciano solchi profondi nella sensibilità degli spettatori.
Il sodalizio femminile allestisce e rappresenta Volevo vedere il cielo , in scena al Teatro delle Saline di Cagliari (stagione Akròama) giovedì e venerdì scorsi, tratto dall'opera di Carlotto, con la partecipazione di Francesca Cara. L'Effimero Meraviglioso, che firma l'adattamento teatrale, rappresenta anche stavolta con grande sensibilità la vita di una donna: dopo Frida Kahlo, Calvisi racconta l'amara storia di un personaggio cui l'autore non ha riconosciuto il diritto né la dignità di un nome.
La regia, incisiva e serrata, disegna per la protagonista gesti saturi di ansia, sussulti di chi non ha gli strumenti culturali per combattere l'incalzante squallore che affoga la vita quotidiana. Le immagini evocate dalle parole della brava Merisi infilzano con brutalità l'ordinaria esistenza, rimandano alla povertà di valori, ad atteggiamenti razzisti, all'evanescente mondo della tv. Il palco è la dimensione spazio-temporale che la Calvisi regala alla protagonista prima di salire sul patibolo: davanti alla platea che attende l'esecuzione, la colpevole racconta di aspirazioni svanite, sogni infranti, miraggi televisivi.
Miana Merisi, tra sacchetti della spesa e bottiglie di vermouth, in poco più di un'ora descrive la routine di una vita persa nel cemento della periferia di Roma, dominata dagli “euri” che non bastano mai, soggiogata da un mondo illusorio imposto dalla tv.
La storia si ripete. Volevo vedere il cielo traccia ancora una volta il malessere dell'uomo, e l'incapacità di esaudire i suoi poveri desideri. Le fantasie di una madre fallita diventano una persecuzione per la figlia. “La ragazzina”, consapevole e rassegnata, non comprende il tormento della madre, non afferra il sentimento di riscossa sociale che la muove. La donna trasferisce sulla figlia la fame di ricchezza e potere, una passione devastante che negli anni, alimentata da povertà e privazioni, l'ha trasformata in un killer: in senso figurato dell'anima, materialmente della figlia. La tragedia contemporanea racconta di un tempo che corre veloce, spazza via i deboli e trasforma i buoni in cattivi.
STEFANIA FRIGAU