Luciana Marotta racconta la storia dell'associazione divenuta un punto di riferimento in città
«Questa domanda me la fanno da 20 anni e non so mai cosa dire». Risponde così Luciana Marotta quando le si chiede cosa l'ha spinta vent'anni fa, nel 1991, a fondare l'Abos, l'associazione di volontariato che allieta la degenza dei bimbi ospedalizzati. «Probabilmente», prosegue, «mi è venuta in mente guardando i miei tre figli. E poi il fatto che a Cagliari non esistesse ancora niente del genere».
GLI INIZI Oltre Luciana, nei primi tempi, l'Abos poteva contare sull'impegno di altre quattro persone. «Abbiamo preso fogli di carta e dei colori dai cassetti dei miei figli e siamo andati in ospedale». Poco dopo hanno pubblicato un annuncio su L'Unione Sarda , a cui risposero in tantissimi.
VOLONTARI Sin da allora, la maggior parte dei volontari è costituita da ragazzi tra i venti e i venticinque anni, che seleziona personalmente la fondatrice dell'Abos con l'aiuto della psicologa del Microcitemico. «Chiediamo serietà, costanza e conoscenza dei giochi. È un impegno che crea aspettative nei bambini. E non possiamo deluderli». Il numero ideale è 150, divisi tra i diversi nosocomi. «Ora siamo in 130. Stiamo ricercando attraverso il nostro sito www.abos.it i volontari che mancano all'appello».
OSPEDALI L'Abos è entrata per la prima volta in ospedale nel 1991, al Microcitemico, che rimane la realtà con maggior presenza di volontari. Nel 1995 si è aggiunto il reparto di Neuropsichiatria e nel 2001 la Clinica pediatrica dell'Azienda ospedaliera universitaria. Dal 2003 invece sono entrati nel reparto di Chirurgia pediatrica del Santissima Trinità.
FINANZIAMENTO L'associazione si autofinanzia con i 10 euro di iscrizione annuale che pagano i volontari e con piccole iniziative come la vendita di calendari e pergamene che sostituiscono le bomboniere. «Ogni tanto il Comune ci dà mille euro. O qualche artista ci devolve l'incasso della serata, ma avremmo bisogno di un po' più di stabilità».
MOTIVAZIONI Il motivo della nascita dell'associazione è ancora da scoprire: «È una cosa che sentivo di fare», afferma. Vent'anni dopo, in molti le esprimono gratitudine e le danno ragione: è stata una buona scelta. (m. g.)
19/09/2010