VENERDÌ, 20 AGOSTO 2010
Pagina 6 - Fatto del giorno
Dalla Sardegna intera per Cossiga: siamo qui dall’alba e guai a chi ci sposta
La politica ormai va a rotoli È sicuro che dopo lui non ci saranno altri capi dello Stato sardi
NADIA COSSU
SASSARI. Sono partiti da Cagliari alle sei e un quarto del mattino. Famiglia al completo: marito, moglie, due bambini, uno ancora nel passeggino. L’altro, in braccio al papà, sventola la bandiera dei Quattro Mori, in alto un piccolo tricolore. È forse l’unica che si vede in mezzo alla folla, di fronte alla chiesa di San Giuseppe e appena dietro lo schieramento dei militari della Brigata Sassari. «Sì, siamo arrivati da lontano, ma dovevamo rendere omaggio al nostro Presidente». I chilometri e l’afa poco importano, la fatica non si sente quando il dovere e l’affetto chiamano: «Ciò che conta è che era sardo come noi - racconta l’uomo, giovane, col sorriso sulle labbra - è l’orgoglio che ci ha spinto a venire fin qui. E ho voluto portare i miei figli perché un domani potranno raccontare questa giornata. Francesco Cossiga è ormai una pagina della storia italiana e noi potremo dire di esser stati presenti quando nella sua isola, che è anche la nostra, gli è stato dato l’ultimo saluto». E poi il rammarico: «Avrà avuto i suoi difetti ma non credo che avremo mai in politica altri sardi del suo spessore. Era una persona schietta, intelligente, onesta. Dopo Segni e Cossiga credo che l’epoca dei capi di Stato nostri conterranei sia finita».
La famiglia di Cagliari è una delle tante arrivate da lontano. Perché non sono stati solo i sassaresi a voler applaudire e toccare la bara del Presidente Cossiga mentre entrava in chiesa.
Sono arrivati dall’Ogliastra, dal Campidano, dalla Barbagia. Chi in pullman, chi in macchina. Ovunque ci si girasse c’era una lacrima per Cossiga. Forse anche da parte di chi non lo stimava poi così tanto. Ma quel feretro che sfilava davanti alla gente commuoveva tutti e, su tutti, l’unico grido forte era: «Grazie Presidente».
È stato questo l’omaggio di Sassari al capo dello Stato, in una mattina calda, col sole che picchiava sulla testa delle centinaia di persone accalcate sulla strada fin da presto. E guai se qualcuno osava coprire la visuale a chi quel posto in prima fila se lo era guadagnato arrivando con largo anticipo. «Sono qui dalle otto, si sposti», frase piuttosto ricorrente.
«L’avevo visto dal vivo in piazza Università quando gli diedero la Laurea honoris causa - racconta Luisa, di Sennori, ormai sassarese d’adozione - ricordo che lo chiamai e inaspettatamente lui si fermò, con quel passo lento mi venne incontro per stringermi la mano. Mi disse: “Ha visto signora? Mi vogliono far laureare a quest’età”». Simpatia innata, umorismo sottile, pungente e mai banale. «Quando sentivo le interviste in televisione - racconta una donna di Sorso - mi facevo certe risate. Di lui, più che le picconate, ricordo la simpatia. Anche perché quando si adirava non riusciva mai a essere troppo duro». Opinioni, tra persone che ieri mattina non erano lì per ricordare il Francesco Cossiga burbero e a volte indisponente. La maggiorparte - sarà l’atmosfera, sarà che dopo la morte è difficile parlar male di qualcuno - ha avuto per il Presidente sardo parole di stima, di affetto, di nostalgia anche.
C’è pure una vecchietta col bastone tra la folla che aspetta l’arrivo del feretro. «Sono zoppa e anche bassa - dice - da qui non potrò mai vederlo». E azzarda: «Per gli anziani, piccoli di statura, avrebbero dovuto mettere delle scalette». Donne e uomini della Sardegna non si sono fatti intimorire da distanze o temperatura. E, tra chi ha preparato il pranzo «dal giorno prima» e chi ha detto al marito «che oggi avremmo mangiato un’insalata fresca che non fa mai male», tante donne di Sassari hanno lasciato che ad occuparsi di faccende e impegni vari fossero per un giorno altri: «Dovevamo vedere Cossiga».
«Io vengo qui a San Giuseppe per recitare il rosario tutte le mattine alle otto - racconta una donna dopo il funerale - Oggi sono rimasta direttamente dentro la chiesa, avevo occupato il posto, solo che a un certo punto hanno fatto uscire tutti. Ma sono comunque riuscita a entrare dopo e la mia preghiera, per Cossiga, l’ho detta». Fiera, contenta di esserci stata.
Un sentimento che ha accomunato un po’ tutti ieri mattina. C’è anche chi il Presidente lo ha aspettato nel terrazzo di casa, chi lo ha salutato molto prima che arrivasse davanti alla chiesa, per evitare il traffico e la calca. C’è chi - parente con il suo stesso cognome - è arrivato da Chiaramonti: «Ci cercava sempre ogni volta che gli capitava di venire in Sardegna». Insomma, quest’uomo grande, con un “appeal” sui generis, con quell’accento sardo mai perduto nonostante gli anni romani, è rimasto nel cuore della gente. «È stato per tantissimo tempo fuori - racconta un uomo di Osilo - eppure la sua sardità non l’ha mai dimenticata». E quando chiedi cosa intenda per sardità la risposta è pronta: «Nessuna inflessione continentale nella parlata, il riferimento a Sassari lo faceva tutte le volte che gli era possibile e poi quella bandiera dei Quattro Mori che ha voluto avvolgesse la bara, credo che parli da sè».
Più di ogni altra cosa parlano i funerali nella sua città, nella chiesa che lo ha conosciuto fin da bambino, in mezzo al suo popolo. Che forse anche per questo non lo ha voluto tradire ieri. Quella presenza così massiccia era come una manifestazione di gratitudine verso un «Presidente emerito della Repubblica che non ha voluto i funerali di Stato e che ha scelto di essere seppellito in forma privata a Sassari». Quale orgoglio per i suoi concittadini.
Non sono tanti quelli che hanno avuto occasione di conoscerlo bene, soprattutto negli ultimi anni. Ma il fatto che Francesco Cossiga sia stato sepolto nel cimitero di Sassari è come se in qualche modo restituisse loro il tempo perduto.
Ieri, dopo la tumulazione, quando parenti e amici stretti erano andati via, qualche “timido” turista, in vacanza nel Sassarese, ha pregato davanti alla tomba. In solitario silenzio. «Siamo di Milano - dice una coppia - siamo venuti direttamente qui e abbiamo aspettato che finisse tutto per poterlo salutare. Ci è sembrato più giusto fare così. Sarà che non essendo sardi ci saremmo sentiti degli intrusi in chiesa. Siamo venuti apposta da Alghero e siamo felici di esser riusciuti a pregare sulla sua tomba». Non sarebbero stati degli intrusi, il sardo è ospitale e Cossiga, questa caratteristica propria della sua terra, la raccontava a chiunque intavolasse con lui una chiacchierata semiconfidenziale. E infatti nella chiesa di San Giuseppe c’erano diversi vacanzieri, li si riconosceva dall’abbigliamento e dall’accento. Nonostante la bella giornata hanno rinunciato al mare per andare ai funerali. Come gli altri, del resto, turisti e non. Una cosa è certa: l’emozione ha ripagato tutti quanti.