Il gruppo di Villasor con il regista Giampietro Orrù ha proposto una sintesi dei suoi lavori durante la «Notte dei Poeti»
Sperimentazione affidata alla parola che si combina con la musica e il movimento
CAGLIARI. Teatro di sperimentazione, affidato alla parola - prevalentemente in lingua sarda - attraverso il supporto della gestualità coltivata con amore forte e una giusta dose di puntiglio. Lo mette in scena ‘Fueddu e Gestu’, gruppo di attori che dà nuova vita al teatro della parola recitata con l’accompagnamento della lingua del corpo. L’inventore della novità (una vera ‘rivoluzione’ per la Sardegna, se si pensa che risale al lontano 1980) si chiama Giampietro Orrù, il regista della compagnia di Villasor.
Il percorso prende il via da una ricerca. «Il rapporto con la matrice ancestrale, per il recupero dell’archè, del vero spirito identitario», dice Orrù. In una terra di narratori orali che ha conosciuto tardi la scrittura, l’anelito alla dimensione fantastica ai confini del sogno è naturalmente molto più forte che altrove. E implica sacrifici importanti. Diverso il discorso sul cammino da percorrere, sempre irto di ostacoli e di diffidenze. Ne ha dovuto sopportare, Giampietro Orrù, in questi trent’anni. Mercoledì scorso però la Cedac gli ha offerto in regalo una serata della Notte dei Poeti - edizione XXVIII - al Ghetto degli Ebrei di Cagliari. Gli ha concesso il palco per un’azione teatrale che riassume alcuni lavori. La performance viene affidata alla straordinaria bravura dell’attrice Maura Grussu e alla vena di tre musicisti che da anni lavorano per la compagnia di Villasor: Veronica Maccioni (fisarmonica), Ottavio Farci (contrabbasso) e Carlo Plumitallo (percussioni). Inoltre, sorpresa molto gradita dal pubblico, gli ha dato una sala per la mostra di maschere di animali, costruite dallo stesso regista di Villasor per alcuni spettacoli. «Con Maura, attrice talentuosa e sensibile, riesco a trasferire sulla scena quella che è la nostra idea di teatro: movimento, vocalità, melodia e ritmo», racconta Giampietro Orrù.
In effetti, in ogni sua performance Maura Grussu comunica emozioni forti. «Si tratta - spiega ancora Orrù - di riassorbire dalle radici tutto quello che c’è da mettere in gioco. Si riparte sempre daccapo, ogni volta, senza barriere tra le varie dimensioni: poetica, visiva e musicale».
L’ideale, per lui, sarebbe «quello che in origine era il fare dell’aèdo: poesia, musica, movimento. Il tutto ha anche una dimensione filologica precisa e rigorosa». Difficoltà per un teatro di questo tipo? «La più forte riguarda i pregiudizi della gente che non si lascia andare abbandonandosi all’ascolto», dice il regista, alludendo a quella parte di pubblico - sempre più ristretta, però - «che non si affida spontaneamente all’evento perché non ha grande competenza attiva di lingua sarda. Con gli stranieri invece - puntualizza Giampietro Orrù - tutto funziona meglio perché loro partono dal suono della parola e dai movimenti degli attori». Sulla scelta della lingua, il regista ha una sua idea precisa. Questa: «Ciascuna storia ha la sua lingua naturale perché la lingua è radice e suono originario». Tradotto, significa che certe storie nostre si possono narrare al meglio soltanto in lingua sarda.
Sulla presenza delle maschere animali in molti suoi lavori - e sulla mostra che la Cedac gli ha allestito al Ghetto di Cagliari - Giampietro Orrù spiega il suo concetto: «Con la maschera di un animale cerco una dimensione molto al di là del quotidiano. La maschera mi dà un’eccezionale libertà di espressione».
Sulle sperimentazioni prossime venture il regista annuncia un cambio temporaneo di direzione. «Dopo molti percorsi nell’ambito del mito, avevamo bisogno di leggerezza e abbiamo pensato di sperimentare anche la dimensione del grottesco», premette. «Ma non solo: c’è di mezzo un risvolto psicologico. Stiamo preparando l’adattamento di un’opera della letteratura russa, «Il naso» di Gogol. Il protagonista perde il naso e va alla ricerca della sua identità profonda. L’opera è divertente, ma ancora non sappiamo quale risultato ne verrà fuori. Del resto, per noi è sempre così: il nostro è prima di tutto un teatro di sperimentazione».
In poco più di mezz’ora, a fine serata, vanno in scena alcuni brandelli di pezzi forti tratti da vari lavori della compagnia campidanese: il sole dei momenti di festa, la luna dell’inquietudine e del dolore. È genuinamente mediterraneo, e profondamente sardo insieme, il sentore del teatro di Giampietro Orrù: un pubblico attentissimo segue tutto in un silenzio assoluto. Il tramonto stempera l’afa di una giorno di fuoco e regala finalmente una brezza, in tutti i sensi.
Maura Grussu accompagnata dai musicisti interpreta alla sua maniera il fascino e il dolore del vivere nelle sue forme più gioiose o drammatiche scandite inesorabilmente dallo scorrere perenne e misterioso delle stagioni umane.