Il Consiglio di Stato ha respinto i 17 punti del ricorso del Comune contro lo strumento di pianificazione
La commissione scientifica poteva operare, corretta anche l’«intesa»
Appese a un filo le prospettive di Tuvixeddu
MAURO LISSIA
CAGLIARI. Se il futuro di Tuvixeddu resta appeso a un filo, la sentenza depositata il 27 luglio dal Consiglio di Stato mette una parola chiara e probabilmente definitiva sulle prospettive del piano paesaggistico regionale: bocciati tutti i diciassette punti del ricorso incidentale col quale i legali del comune di Cagliari hanno provato a minare, per farlo crollare del tutto, lo strumento elaborato dall’amministrazione Soru, l’impianto del Ppr esce consolidato dal giudizio di palazzo Spada e ora sarà difficile per la giunta Cappellacci provare a modificarlo. Dopo aver affrontato con l’ormai celebre sentenza su Cala Giunco gli aspetti del piano legati alle misure di tutela (il passaggio fondamentale: «Sull’interesse privato e sulle esigenze dell’industria turistica prevale comunque l’interesse generale alla tutela del paesaggio») per la prima volta i giudici amministrativi supremi entrano a fondo nel merito del piano e sembrano volerne puntellare la validità persino negli aspetti più controversi, come la parte che riguarda lo strumento dell’intesa.
Gli avvocati del comune di Cagliari - Carla Curreli, Ovidio Marras, Massimo Massa e Marcello Vignolo - hanno attaccato il Ppr su tutti i fronti, partendo da un ragionamento che può essere considerato centrale: nelle scelte urbanistiche i comuni non devono sottostare alla verifica di coerenza con lo strumento di tutela regionale. Ma i giudici di Roma sono stati chiari e soprattutto categorici: il piano regionale prevale sui piani urbanistici comunali, che devono essere allineati alle prescrizioni contenute nello strumento generale. Non solo: al contrario di quanto hanno sostenuto nel ricorso su Tuvixeddu i legali del comune di Cagliari l’approvazione da parte della giunta regionale rende valido ed efficace il Ppr anche senza il voto del consiglio regionale, questo malgrado lo strumento abbia natura di regolamento. Perchè in realtà - ha chiarito il Consiglio di Stato, in linea con il Tar Sardegna - è la legge 8 del 2004 (la salvacoste) a stabilire le competenze per l’approvazione del Ppr e quelle competenze sono assegnate proprio all’esecutivo regionale.
Ma non è finita: il comune di Cagliari ha sostenuto nei due gradi di giudizio che la commissione scientifica nominata dall’amministrazione Soru per elaborare la ‘dottrina’ del Ppr sarebbe illegittima perchè nessuna norma ne prevede l’esistenza. Palazzo Spada ha bocciato anche questo punto del ricorso perchè la commissione nominata sulla base di criteri «prettamente fiduciari» ha operato soltanto «come mero strumento di supporto tecnico» e del resto - osservano i giudici - nessuno ha «posto in discussione sul piano professionale le capacità dei componenti il comitato stesso». Quindi la tanto discussa commissione scientifica è stata nominata correttamente («con una determinazione assunta dagli uffici regionali») ed era perfettamente legittimata a operare. D’altro canto il lavoro svolto dai professori è diventato un riferimento internazionale.
Ha retto al giudizio di secondo grado anche lo strumento dell’intesa, il famigerato articolo 11 del Ppr, che secondo gli oppositori del piano - e secondo il comune di Cagliari - attribuisce un eccessivo potere discrezionale alla Regione nell’autorizzare gli interventi edilizi autorizzati prima della legge 8 del 2004. In pillole: bloccato qualsiasi progetto cui i comuni avevano dato il proprio via libera prima che il Puc fosse adeguato al Ppr, un’intesa tra Regione-Provincia e comune di competenza può comunque autorizzare l’apertura del cantiere. Grazie a questa norma - sostengono gli oppositori del Ppr - l’amministrazione Soru avrebbe conservato un potere discrezionale utile a favorire i progetti più graditi, bocciando senz’appello tutti gli altri. Secondo il ricorso del comune di Cagliari quest’interpretazione della norma sarebbe una forzatura, perchè in realtà l’intesa servirebbe soltanto come «momento di verifica del rispetto delle regole generali e particolari e non il luogo di alcuna attività discrezionale». Questo perchè - sostengono i legali - il Ppr «non conterrebbe regole certe alle quali ancorare, senza la spendita di poteri discrezionali pressochè illimitati, le verifiche da porre a base dell’intesa». La prova starebbe «nel fatto che quelle verifiche non sarebbero attribuite agli organi tecnici delle amministrazioni interessate, bensì ai rispettivi organi politici». Nella stretta sostanza: prevedendo all’articolo 11 lo strumento dell’intesa l’amministrazione Soru si sarebbe riservata una ‘finestra’ per far passare i progetti considerati validi.
Ma per il Consiglio di Stato non è così: le regole ci sono e la disciplina di riferimento, cui devono attenersi gli enti coinvolti nell’intesa «viene individuata in un complesso normativo di carattere tecnico» come quello che regola le conferenze di servizi. Bocciato - e accolte anche qui le tesi opposte degli avvocati Giampiero Contu, Vincenzo Cerulli e Carlo Dore (per Italia Nostra) - il punto del ricorso che contestava la legittimità delle norme di salvaguardia: per i giudici il Ppr è conforme a quanto previsto nel Codice Urbani, una legge dello Stato che mette il paesaggio al centro degli obbiettivi di tutela.