Chénier: tre grandi protagonisti e un'opera che continua a sedurre
I muri crollano sulla festa della contessa di Coigny. La metafora dell'Ancien Régime travolto dalla rivoluzione va in scena a Cagliari con l' Andrea Chénier allestito da Giancarlo Del Monaco. Così all'aristocrazia incipriata succedono citoyens, sanculotti e popolane dedite al mercimonio, che si aggirano intorno al simulacro di Marat morto. È questo lo sfondo scelto per mettere in scena quel grande dramma di passioni e storia che è l' Andrea Chénier di Umberto Giordano, ovvero la rivoluzione francese secondo le convenzioni di quel verismo italiano che, sulla scia di Cavalleria Rusticana , si nutriva di fatti violenti, e li metteva in scena in modo altrettanto violento, nell'orchestrazione come nelle voci.
L'intreccio riprende il classico triangolo verdiano: un soprano lirico-drammatico (Maddalena), un baritono che l'ama ma non è corrisposto (Gérard), un tenore innamorato e sentimentale che ama riamato (Andrea). Una donna e due uomini che annunciano nella parte musicale e nelle implicazioni psicologiche quelli che saranno i protagonisti di Tosca . Ma qui la Storia con la S maiuscola prende il sopravvento e travolge i sentimenti facendo vincere la logica del Terrore.
A Cagliari l'opera vive dei clamori turbolenti che sa infondere l'Orchestra del teatro lirico diretta da George Pehlivanian, e della competenza di una compagnia di canto che fa risaltare il temperamento psicologico e vocale dei protagonisti, nei palpiti della voce di Chénier, nelle caratterizzazioni di Maddalena e Gérard.
In più enfasi e tragedia si compenetrano in un insieme in cui emergono figure interessanti di comprimari che si ritagliano un ruolo personale. Come la Madelon di Milena Storti che spicca per sincerità d'accenti o la contessa di Coigny di Cinzia De Mola, che sottolinea il suo ruolo di altezzosa e sprezzante aristocratica. E ancora si fanno valere l'irruente spigliatezza della mulatta Bersi di Marilena Laurenza, Carlo Bosi nel ruolo dell'Incredibile e il Roucher di Alessandro Guerzoni. Eppoi il coro, impegnato a dar voce a una miriade di personaggi storici importanti così come alla folla dei rivoltosi.
A dominare sono evidentemente i tre protagonisti. A partire da Gérard, il servo riscattato dalla rivoluzione, che è poi in fondo l'eroe vero di questa tragedia. Personaggio che ha la consapevolezza storica del proprio ruolo e non solo forza sentimentale. Un ruolo difficile, complesso, che Marco Vratogna fa vivere negli aspetti più profondi. Così di volta in volta si presenta come il ribelle contro la società, come l'amante respinto e infine l'amico fedele, impegnando la sua voce profonda di baritono con sincerità e convinzione. E nei tormenti di Gérard, combattuto se firmare o no la denuncia contro il rivale in amore, Vratogna fa emergere aspetti interessanti della poetica di Giordano. Anche perché seppure ricca di quelle "grida" che saranno una costante del teatro verista italiano, l'opera di Giordano sa cogliere finezze e ripiegamenti. Quando non elementi innovativi o forse solo vezzi. Come quello di ostinarsi in una scrittura musicale che non mette in chiave diesis o bemolle - quasi a rivendicare una vaghezza nella tonalità - ma che è poi invece ben determinata.
Concentrata nell'affrontare le difficoltà tecniche e a raggiungere le note del registro più acuto, Martina Serafin è una Maddalena che si trasforma dalla giovinetta frivola alla donna che si vota al sacrificio pur di seguire l'amante anche nella morte. Intreccia duetti, mettendo i suoi acuti penetranti a fianco delle inflessioni calde di Walter Fraccaro che indossa con disinvolta espressività la redingote del poeta Andrea Chénier. Così mentre Martina Serafin spinge i suoi acuti a spigolose vette calcando sull'espressività più vistosa, Fraccaro si concentra sugli accenti lirici. Nel ruolo del poeta martire della rivoluzione è bravo nel districarsi tra le tante insidie che gli riserva la partitura, senza mai perdere calore e rotondità di suono, sino ad arrivare al trionfo della melodia in "Come un bel dì di maggio".
L'enfasi domina sovrana, sottolineata dall'orchestra che Pehlivanian conduce con sicurezza in un insieme di continui e fragorosi exploit. D'altra parte Andrea Chénier è, per sua stessa vocazione, un'opera sopra le righe, che trova quindi nell'allestimento cagliaritano la sua dimensione appropriata, applaudita calorosamente dal pubblico in sala.
GRECA PIRAS
23/07/2008