Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Amarcord della Sella del diavolo

Fonte: L'Unione Sarda
16 luglio 2010

Le opere di Carlo Nieddu
All'Exmà sino al 22, in trenta oli, il punto di vista privilegiato d'un canoista-pittore

Una leggenda narra che i diavoli, attratti dal fascino del golfo di Cagliari, abbiano tentato di impadronirsene e che Dio abbia mandato i suoi angeli, guidati dall'arcangelo Michele, per scacciarli. Dopo una battaglia, in cui a trionfare furono le creature celesti, Lucifero perse la sua sella che cadde e si pietrificò, dando origine alla Sella del Diavolo. A questo luogo è dedicata la mostra di Carlo Nieddu Arrica Memorie di un canoista , patrocinata dall'Assessorato alla Cultura del Comune e visitabile fino al 22 luglio all'Exmà. Circa trenta gli oli, selezionati tra quelli degli ultimi dieci anni. Una Natura che ci protegge, quella di quest'angolo di costa contro il quale anche il maestrale pare arrestarsi. Il punto di vista, fortemente ribassato, è quello del canoista, quale è da vent'anni Carlo Nieddu. Un punto di vista privilegiato che riesce a godere della luce del sole nella molteplicità degli effetti di rifrazione sull'acqua, e sul bianco assoluto del calcare del promontorio. A questo si aggiunga, sottolinea Alessandra Menesini nella presentazione, che sono tutte vedute diurne «perché un canoista mai si avventura di notte e deve saper riconoscere la forma delle onde e la direzione del vento».
Autodidatta, Carlo Nieddu dipinge da ragazzo e, prediligendo la pittura paesaggistica, ha sviluppato una sensibilità cromatica di matrice postimpressionista che, non a caso, in alcuni dipinti, tende all'astrazione. Il ripetersi nelle tele il profilo della Sella, prima lontano sulla linea dell'orizzonte, poi incombente, suggerisce un rimando alla serie de La montagna di Sainte-Victoire , dipinta instancabilmente da Cézanne, dal 1897 alla morte. E così, come tessere di un mosaico, il pittore accosta e giustappone rapide pennellate sulla tela, macchie di colore che modula in delicati passaggi tonali, sempre più intense là dove lo spazio diventa meno leggibile nei rapporti di profondità. Allora il cielo si confonde col mare e il filo della memoria si interpone fra il pittore e soggetto rappresentato. Cosicché il promontorio rappresentato nel dipinto, non più restituzione di ciò che l'occhio ha percepito, vive come composizione autonoma di forme pure e di colori, «un luogo di densi silenzi, la Natura per intero simboleggiata in forme ricomposte».
MARZIA MARINO

16/07/2010