Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Gio Ponti, sogni di ceramica

Fonte: L'Unione Sarda
13 luglio 2010

Gio Ponti, sogni di ceramica

Qualcosa di più bello, soave, elegante, non c'è, in questa estate culturale cittadina. La mostra Gio Ponti. Un protagonista del Déco tra classicismo e modernità, proposta da Annamaria Cabras di Arteficio al Teatro Civico di Castello, fino al 10 ottobre, è il fiore all'occhiello delle iniziative offerte in città. Una sorpresa che non ci si aspetta, attendendo piuttosto una collezione di pezzi piccoli, qualcosa, insomma, di meno sensazionale. Invece la collezione di Luciano Colantonio, che della mostra ha curato anche il coordinamento scientifico, più altri pezzi di diverse provenienze, rappresenta uno spaccato della produzione ceramica di Ponti di grande impatto.
Certo, resta fuori tutto il resto, di questo straordinario architetto, designer, teorico e stimolatore di dibattiti - si pensi a quanto ha nutrito e orientato la produzione di idee e cose di Eugenio Tavolara attraverso i suoi articoli su Domus, che ha fondato nel 1928 -, perché la mostra è solo su ceramiche, porcellane, maioliche, terraglie del direttore artistico della Ginori, nato a Milano nel 1891. Dove “solo” non è affatto un limite ma corrisponde a un mondo raffinatissimo in cui ci si ritrova salendo al primo piano del teatro.

Sopra, seguiti da un personale pronto a fare una visita guidata, se richiesta, ci si trova davvero fra le nuvole. Fra quelle dove Ponti ha disteso le sue donne, di sensualità e pose neoclassiche: Donatella, Fabrizia, Leonia, Balbina, Apollonia, Emerenziana, discendenti tutte dalla Leuconoe oraziana, come annota il collezionista bresciano Colantonio nel suo contributo sul piccolo catalogo realizzato per la mostra (a cura di Dario Matteoni, e per la verità non adeguato all'evento).
Un'atmosfera sognante lega un po' tutti i pezzi che le esili teche custodiscono, noncuranti, quasi, di eventuali urti. E non solo per i soggetti delle piastrelle in terraglia policroma con soggetti tipo Gli stanchi, La lettura, La canzone, ma per la compassata grazia neoclassica delle figure femminili, per le ipnotiche e poetiche decorazioni di coppe e vasi, per un Pellegrino stanco che pensa col capo reclinato sulla mano, per l'Orfeo e l'Euridice che, da due distinti piatti da parata in maiolica policroma, si attendono l'un l'altro. Ed ecco che si arriva a una perla: il grande vaso con coperchio Fabrizia, una rarità: realizzato da Gio Ponti per l'esposizione delle Arti decorative di Parigi del 1925, lì acquistato da privati che per più di ottant'anni se lo sono tenuti nella propria collezione. Ricomparso sul mercato, il vaso è stato recentemente acquistato in un'asta da un collezionista di Cerro di Laveno, che l'ha prestato per questa mostra.
Bisogna vedere da vicino questo oggetto, per sentire la vibrazione dello smalto blu cobalto, la morbidezza delle nuvole gialle, sulle quali posa Fabrizia. Mentre in altri oggetti prevale un rigore compositivo neoclassico, come nell'urna con coperchio Triumphus Amoris, del 1928, sempre blu ma con il carro alato dell'Amore in oro zecchino lavorato a punta d'agata e in terzo fuoco, quindi con la caratteristica qualità lucido-opaco, dove le parti opache sono quelle non trattate dalla pietra. Pezzi, questi due, che valgono la mostra. Ma, nondimeno, ci si perde nella coppa Nautica, o Velesca, del 1930, con scansione orizzontale di vele e linee di orizzonte mare.

La genialità di Ponti si scopre proprio in particolari come le vele spezzate dall'orlo della coppa, o dalle vaporose nuvole che, in altre coppe della stessa serie, continuano all'interno. Ma il suo estro, espresso nella poliedricità delle sue applicazioni creative, dall'architettura, all'arredamento, alle meravigliose luci per Fontana Arte, finanche alla piccola mascotte in porcellana, presente in mostra, per la Isotta Fraschini, nella ceramica conosce l'eccellenza, il verbo decorativo, la sintesi formale che cita innovando, mai per citare. E che si arricchisce di suggestioni legate a un personale mondo non sempre così compassato e algido, secondo le istanze neoclassiche.
Nel mondo di Ponti c'era posto anche per un rarefatto registro beffardo, che trapela a tratti, anche se tutto sembra rispondere al massimo del rigore. La coppa con coperchio, arancio e blu, che per decoro riproduce il proprio disegno, è una moderna tautologia. Altre ceramiche, non presenti in mostra, come Gli sciatori, La vispa Teresa, Jungla, con toro e altri animali che corrono attorno alla coppa, dichiarano nei loro decori l'insostenibile leggerezza dell'essere di un creativo creatore di mondi meravigliosi. Che proprio per Tavolara scrisse su Domus, nel 1962, un elogio evocativo di questa grande personalità sarda e del periodo di rinascenza del locale artigianato che ha determinato. Correva grande feeling fra i due. Ed era, quel tempo, senz'altro un'altra civiltà estetica.
RAFFAELLA VENTURI

13/07/2010