Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Dimezzare le Province? Cancelliamole tutte»

Fonte: L'Unione Sarda
5 luglio 2010


Fantola: sono enti che non funzionano bene Giusto anche ridurre i consiglieri regionali

 Perché lasciare le cose a metà? Massimo Fantola non solo approva la proposta di Ugo Cappellacci di tagliare quattro Province, ma rilancia e suggerisce di abolirle tutte: «Noi siamo contrari alle Province in sé», ricorda il fondatore dei Riformatori sardi, «un'istituzione che ha difficoltà a funzionare».
Per quale motivo?
«Perché si riferiscono ad ambiti territoriali eterogenei: è più utile creare unioni di Comuni, associando alcune competenze per obiettivi specifici».
Molti promettono di eliminare le Province, poi però non accade mai.
«È vero, anche in campo nazionale. Ma io saluto sempre con favore chi prende questo impegno. Del resto, in Sardegna, di alcune davvero non si capisce l'esistenza».
Per esempio?
«Prenda il Medio Campidano: mi dite cos'hanno in comune la Marmilla e il Guspinese? Un ente territoriale dovrebbe nascere su una comunanza di storia, cultura, obiettivi di sviluppo».
Lei era nel Consiglio regionale che votò per le nuove Province, e allora furono pochissime le voci contrarie.
«La spinta della Gallura, che con l'Ogliastra portava le esigenze più reali, provocò un corto circuito che portò a istituire quattro enti. Non si riuscì a frenare la nascita di istituzioni che poi si sono rivelate deboli».
E successivamente fallì il referendum per abrogarle.
«I referendum hanno successo quando c'è un clima diffuso nell'opinione pubblica, che allora invece era preoccupata per altre cose. Non è che ciascun territorio non avesse motivazioni valide per chiedere più attenzioni: ma si è visto che quelle richieste non potevano essere soddisfatte in questo modo».
Ora invece c'è un clima più favorevole a una battaglia simile?
«La battaglia contro le Province è parte di una più ampia: che, anche ponendo limiti ai costi, vuole riavvicinare i cittadini alla politica. Oggi c'è una spinta popolare per abolire le Province, ma non passa per l'opposizione del sistema politico. Stesso discorso per la riduzione del numero dei consiglieri regionali».
I Riformatori sono tra quelli che hanno depositato una proposta di legge in tal senso.
«Ma già negli anni '90 raccogliemmo 80mila firme per questo obiettivo, e poi ci fu il referendum. Ora però dobbiamo dimostrare che chi è ai vertici delle istituzioni è davvero al fianco di chi sta vivendo momenti difficili».
Nella scorsa legislatura è stata presentata anche una proposta di legge popolare per la riduzione degli stipendi dei consiglieri regionali: mai discussa.
«Mi rendo conto che è un tema venato di spinte qualunquistiche e populistiche, che non voglio cavalcare: ripeto solo che la politica deve dare un segnale di sobrietà. Per riavvicinare i cittadini bisogna anche creare un ricambio di chi sta al ponte di comando: per questo noi ci battiamo per porre un limite di tre mandati in Consiglio».
L'astensionismo delle ultime elezioni forse dipende soprattutto da questi aspetti, più che dal funzionamento delle Province.
«Sicuramente l'opinione pubblica è sfiduciata, non pensa più che la politica possa cambiare le cose. Il compito di chi si dedica alla cosa pubblica è ridare una speranza, una prospettiva».
Come si può fare?
«Limitando l'invadenza dei partiti, che devono fare un passo indietro favorendo la partecipazione della gente».
Ritorna alla vostra proposta di primarie per le cariche elettive principali?
«Quello è uno dei metodi. Non è possibile che le candidature siano decise in stanze di dieci metri quadri. I partiti sono uno strumento fondamentale, ma non più l'unico: la società è cambiata, il senso civico è diffuso ma si esprime anche con associazioni, circoli, movimenti. Saremmo dei matti a escludere questo mondo». (g. m.)

05/07/2010