L'Unione europea è inflessibile: nessuna proroga per l'Italia
LUSSEMBURGO L'Italia dovrà alzare da 60 a 65 anni l'età pensionabile delle dipendenti pubbliche al massimo entro il primo gennaio del 2012. Questo l'ultimo avvertimento della Commissione Ue, che non intende concedere sconti al nostro Paese, bocciando ogni proposta di gradualità. Come lo stesso ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha ammesso ieri al termine dell'incontro con la vicepresidente dell'esecutivo europeo, Viviane Reding, svoltosi a Lussemburgo.
«Non c'è alcuno spazio per la trattativa», ha spiegato il ministro, sottolineando come «siamo di fronte a qualcosa che non dipende dalla volontà del governo». Un messaggio rivolto soprattutto ai sindacati, che saranno ascoltati nei prossimi giorni e che vengono invitati a «non scioperare contro la pioggia». Perché di fronte alla «ferma posizione» di Bruxelles nulla può essere fatto. «In una democrazia le sentenze di una Corte si rispettano», ha infatti tagliato corto la commissaria Reding, sottolineando come «sia più che ragionevole aver dato all'Italia tempo fino al primo gennaio del 2012».
IL GOVERNO A questo punto la parola passa al consiglio dei ministri che, ha spiegato Sacconi, giovedì «dovrà decidere cosa fare». E appare quasi scontato che le norme con cui il governo italiano si adeguerà alla sentenza della Corte Ue di giustizia del novembre 2008 saranno inserite nella manovra da 24 miliardi: «È questo il veicolo più tempestivo che attualmente abbiamo a disposizione», ha affermato il ministro del Lavoro. Anche perché secondo i calcoli dei tecnici del ministero non adeguarsi subito alla sentenza della Corte Ue costerebbe all'Italia molto caro: i conti non sono ancora stati fatti, ma in linea di massima il rischio è quello di una sanzione fino a 714.000 euro al giorno, dal giorno in cui è stata emessa la sentenza. Se l'Italia dovesse porre fine all'infrazione oggi, si spiega, dovrebbe già pagare oltre 19 milioni di euro.
LA SOLUZIONE Sacconi ha già informato dell'esito dell'incontro con Viviane Reding il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti (anch'egli a Lussemburgo per partecipare alla riunione dell'Eurogruppo) e quello della Funzione pubblica, Renato Brunetta, spiegando loro l'impraticabilità della soluzione di compromesso elaborata negli ultimi giorni, quella che prevedeva di accorciare il periodo di transizione, portandolo dal 2018 al 2016. «La gradualità che avevamo proposto», ha spiegato ancora Sacconi, «era per garantire alle donne di programmare in anticipo le proprie scelte di vita. Ma la nostra proposta non è stata considerata sufficiente».
LA MANOVRA Il ministro ha quindi respinto la tesi di chi sostiene che la determinazione della Commissione Ue fa comodo al governo che, innalzando subito l'età pensionabile delle dipendenti pubbliche, può fare cassa, incrementando le entrate della manovra: «I conti non li abbiamo ancora fatti», ha spiegato, «ma la misura avrebbe sulla manovra economica un'incidenza molto modesta e contenuta nel breve periodo, visto che secondo i dati dell'Inpdap le donne interessate non sarebbero più di 30.000 il primo anno».
Massime garanzie, infine, su un punto: «La sentenza della Corte Ue», ha assicurato il ministro, «si limita al settore pubblico e non tocca minimamente né potrà riguardare il settore privato». Sacconi ha quindi evidenziato come «di fatto oggi nel settore pubblico l'età di uscita dal lavoro sia sostanzialmente uguale».
I NUMERI Sono 1,8 milioni le donne che lavorano nel pubblico impiego: costituiscono il 55% del totale dei dipendenti statali e hanno in media 48 anni di età. I numeri sono contenuti nel “Conto Annuale” della Ragioneria generale dello Stato che raccoglie i dati sul “censimento” del pubblico impiego.
La presenza femminile è aumentata in tutti i comparti del pubblico impiego negli ultimi tre anni (dal 2006 al 2008, secondo l'ultimo aggiornamento a disposizione). Quasi la metà delle donne che lavorano nel pubblico impiego sono impegnate nella scuola (48%) e per un altro quarto nella sanità (23%). La componente femminile è continuata a crescere negli ultimi anni nei settori dove è già preminente (scuola e servizio sanitario nazionale); ha superato nel 2008 per la prima volta la parità nella carriera prefettizia; ha compiuto poi ulteriori passi verso la parità anche in altri comparti dove è tradizionalmente minoritaria quali l'università e la magistratura; anche nella carriera diplomatica ha mostrato nell'ultimo anno un incremento ma tale presenza è ancora molto circoscritta. La presenza femminile risulta inoltre in crescita anche nei vigili del fuoco e nei corpi di polizia e nelle forze armate dove supera la soglia dell'1%.
08/06/2010