personaggi Libro di Francesco Cugusi
Si definisce “biografo per necessità”, Francesco Leone Cugusi. Autore di un testo, introdotto da Vittorio Sgarbi, che ricostruisce vita, opere e precoce morte di Brancaleone da Romana, il luminoso artista che era un suo stretto parente. “Brancaleone mio zio” è l'assai diretto titolo di un libro, edito da Tema (pagine173, euro 18), che mette assieme testimonianze, lettere, foto, documenti attinti in prevalenza all'archivio familiare.
Brancaleone era nato a Romana nel 1903. Suo padre Leonardo, medico condotto del paese, lo descrive “vivace, irrequieto, tutto nervi”. Amante della musica sin da piccolino , si quietava solo al suono del mandolino suonato dalla madre. E riempiva ogni foglio o margine di libro con disegni a matita. Aveva imparato a scrivere e a leggere dai nonni tempiesi ma la scuola non gli piaceva, la maestra e i compagni neppure. C'era già da preoccuparsi , per il solido dottor Leonardo che quel figlio eccentrico non riusciva a capirlo. Lo manda a Roma, in collegio, ma lo scoppio della Grande Guerra lo costringe a un rapido rientro e all'iscrizione alla scuola dei Salesiani. La famiglia si era trasferita a Cheremule, in quegli anni, e lì Leonino realizzò il suo primo quadro, “Bambino che fa colazione”. Cresceva ma non metteva giudizio.
Tentò di studiare Giurisprudenza a Sassari ma si presentava al Guf con uno strano costume sardo o con un saio francescano. Il dottore suo padre lo richiama alla base, gli taglia i viveri e ingiunge ai parenti di fare altrettanto . L'intrepido Brancaleone non si arrende: chiede un prestito al cugino Salvatore Meloni per un viaggio a Milano, dove trascorse alcuni mesi senza grandi risultati. Gli andò meglio a Roma, perché trovò un impiego, parcamente retribuito, come figurinista alla Rinascente, affittò un piccolo atelier, si legò ad artisti come Ferruccio Ferrazzi e Giovanni Stradone che lo incoraggiarono sulla strada del suo “realismo costruttivo”. Si firmava Navarra, allora, ma la maggior parte delle sue opere le distruggeva. Anche a ginocchiate, riferiscono le cronache. Non fece mai una mostra: «La mia non è una passione, ma proprio una costituzione», diceva. Assillato sempre dagli scarsi denari, trovò finalmente delle alleate e sostenitrici in Cesira Bachis (moglie di suo fratello Guglielmo) e nella di lei sorella Alda. Le due signore, eredi di un ricco notaio di Siliqua, credevano in quel talento tormentato e stipularono con lui un vero contratto segreto. Gli avrebbero versato £500 al mese per un anno. In cambio, avrebbero avuto dodici dipinti e rendiconti precisi. Le spese per il pittore tornato in Sardegna erano ingenti. Doveva comprare le tele e i colori. Doveva pagare (£ 4 per mezza giornata) i modelli sottratti ai lavori dei campi e le lastre fotografiche con cui fissava le pose di contadini e cucitrici. Sperimentava la tecnica a “mezza pasta” e la più costosa “tutta pasta” e il sistema del reticolo. Si preparava a quel fatidico debutto nazionale che l'avrebbe rivelato al mondo. Svolta che arrivò troppo tardi. Brancaleone morì a Milano, il 3 di maggio del 1942. Pochi giorni dopo Nella Zoya e Michele Biancale inaugurarono alla “Società per le belle arti ed esposizione permanente” di Milano una mostra che comprendeva 14 suoi pezzi, quasi tutti venduti. Successo completo ma postumo, per colui che Vittorio Sgarbi esalta come «il più universale dei pittori sardi del secolo scorso». Si deve a Sgarbi la riscoperta e la valorizzazione di Brancaleone da Romana, così come l'organizzazione della monografica a lui dedicata nel 2004 all'Exmà di Cagliari. A Francesco Cugusi, la stesura di una biografia affettuosa e accurata.
ALESSANDRA MENESINI
24/05/2010