narrativa Esordio di Roberto Delogu
Il carcere di Buoncammino, microcosmo dentro la città ma fuori dalla vita ordinaria, ospita persone ai margini che per i più sono solo ombre, nomi nei trafiletti di cronaca nera. Con la velocità del racconto e la grazia di una favola, “La sincerità è un'inutile cattiveria” (ed. Madrikè, 15 euro, 115 pagine) è il romanzo d'esordio di Roberto Delogu che restituisce dignità a quelle esistenze barcollanti disegnando volti, storie e redenzioni. A due giorni dalla pubblicazione, questa long story short venerdì in piazza Repubblica ha aperto “Musica e Libri in Piazza in ricordo di Francesco Alziator”, la manifestazione promossa dalla Scuola Civica di Musica in collaborazione col Comune di Cagliari, Aes, Alsi e Associazione Mieleamaro.
Alternando humor a immagini poetiche, un tessuto narrativo coinvolgente trasforma il carcere di Cagliari da discarica umana a caldo rifugio. Il figlio dell'Io narrante sceglie le sbarre per fuggire dal mondo perché «gli serviva un luogo stretto, mentalmente sicuro», dove «il dolore non possa irradiarsi aldilà delle mura». Quanto a quelle mura, «la perfidia umana ha ben pensato di concedere poche finestre alla facciata che dà sul mare» e che Delogu conosce bene perché, come si legge nella quarta di copertina, «quando non è sott'acqua fa l'avvocato». E da avvocato penalista svela regole e gerarchie, marketing carcerario e processi interni dove «il detenuto viene nuovamente giudicato e il nuovo verdetto prescinde totalmente dalla sua colpevolezza. Si valutano altri elementi».
Ma il racconto è anche e soprattutto una storia sull'amore, da quello di un padre che tiene il figlio addosso come una coperta perché «era la parte di me che mi mancava», a quello delle parole non dette, «l'eccitante imbarazzo di uno sguardo che nei ricordi si trasforma in una invadente e dolorosa compagnia per tutta la vita». E d'amore silenzioso parlano anche le quattro favole che scandiscono il ritmo equilibrato di un racconto che intreccia attese a colpi di scena. Sono le storie che Felice racconta ai compagni di cella prima di dormire, appena «il sole tramonta a foglia morta dietro gli stagni che sembra una punizione di Zola». Un rituale imparato da bambino quando il padre inventava storie per farlo addormentare e cantava “Non potho reposare amore 'e coro”. E come succede nelle favole, i personaggi del romanzo hanno nomi che svelano destini, nomen omen. Felice, Maddalena, Zerrio, Paternale, Papillon. E Libero, che invece con la sua storia forma un ossimoro, perché è più prigioniero di tutti i reclusi del carcere dove lui fa il secondino. Prigioniero di se stesso cresce trattenendo l'invidia come un veleno di cui non conosce antidoti. Ma mentre lui manifesta il suo dolore con la rabbia, gli altri personaggi lo celano dietro parole non dette o sguardi da “La madre dell'ucciso di Francesco Ciusa”, disegnando esistenze come parabole costruite sempre alla luce dell'altro. Cammini in cui la paura incontra il coraggio, l'amore il silenzio e il destino segue le strade inattese di verità nascoste o trasformate perché a volte, in fondo, la sincerità non è altro che un'inutile cattiveria.
CRISTINA MUNTONI
23/05/2010