Società quotata in Borsa con mille dipendenti nella sede centrale di Bari. Il patron, Giuseppe Saggese ha avuto numerosi guai giudiziari
Tributi Italia è la più importante società privata per la gestione delle entrate degli enti pubblici. Riscuote le imposte locali di circa 500 Comuni, concentrati soprattutto in Lombardia, Sardegna, Sicilia, Puglia e Campania. Tutto grazie a una rete di 200 agenzie e a un centro servizi a Bari, dove lavorano circa mille dipendenti.
O meglio, lavoravano, perché da quando la società è in crisi, sono stati avviati alla cassa integrazione. “Professionalità e dinamismo”, si legge oggi nella presentazione istituzionale della spa, ma anche “incremento della trasparenza nei rapporti con l'utente”. Caratteristiche sulle quali avrebbero molto da dire i 135 Comuni nei guai a causa dei milioni riscossi da Tributi Italia ed evaporati nel nulla.
La società, prima di quotarsi in Borsa, ha subito numerose trasformazioni, attraverso una complesso passaggio di scatole cinesi. Nasce nel 1986, a Taranto, come Publiconsult sas, per commercializzare spazi pubblicitari. Nel 1994 diventa spa. Tre anni dopo (1997), in linea con le innovazioni che si prevedevano in campo fiscale, la ragione sociale si orienta verso “l'accertamento e la riscossione dei tributi locali”. Nel 2004 prende il nome di San Giorgio spa. Nel 2008 grande metamorfosi, che prelude al raggiungimento di una posizione predominante nel settore: acquisisce le società Ausonia spa, Ipe srl, Rtl spa e Gestor spa, delle quali assorbe la numerosa clientela, e diventa Tributi Italia spa.
Capitale sociale, 16 milioni 111.000 euro, sede legale a Roma, direzione a Chiavari. È il colpo d'ala per uscire da una crisi incalzante, ufficialmente per passare da ”azienda a gestione familiare a corporate governance”. Presidente è Patrizia Saggese, ma il vero deus ex macchina è sempre stato il fratello Giuseppe. Personaggio dalla vita movimentata, per vicende legate all'attività delle società.
Nel maggio dell'anno scorso, Giuseppe Saggese, patron di Tributi Italia (ufficialmente consulente) viene arrestato, per peculato, e i consiglieri di amministrazione indagati nell'ambito di un'inchiesta sul mancato versamento di 4 milioni di imposte al Comune di Nettuno. Ma già nel 2001, lo stesso Saggese era finito in cella per corruzione e frode, nel corso di indagini svolte su una storia di tangenti nel comune di Aprilia.
Il fronte giudiziario nei confronti di Tributi Italia si scatena a partire dal 1999, con un'inchiesta promossa dal Comune di Pomezia, che contesta il mancato versamento di una ventina di milioni. Venti milioni mancano all'appello anche al Comune di Aprilia, 5 ad Augusta, 2,2 a Bergamo, 2 a Fasano. Sono, in tutto, 135 gli enti locali nei guai, con un buco di 89 milioni di euro.
Il primo pronunciamento dei giudici è del gennaio 2009. Riguarda il comune di Bologna che vanta un credito, nel confronti di Gestor, di 4 milioni e 800 mila euro. La sezione giurisdizionale della Corte dei conti dell'Emilia Romagna ha condannato la società a pagare 1 milione e 200 mila euro per mancata presentazione al Comune dei conti giudiziari dal 2004 al 2007 (sentenza appellata).
Ma è la cancellazione dall'albo delle società abilitate a riscuotete tasse che dà il colpo di grazia a Tributi Italia, proprio quando aveva chiesto il concordato preventivo. Così afferma il presidente Patrizia Saggese in un comunicato emesso subito dopo la sospensione del provvedimento da parte del Consiglio di Stato. La cancellazione, decisa dal Tesoro quando «la società aveva avviato un piano di ristrutturazione del debito» vantava «crediti di agio (nei confronti dei Comuni ndr) pari a 145 milioni» , secondo Saggese «ha impedito il procedere del Piano di ristrutturazione del debito». Ma come si è formato questo debito? Per il presidente, sono tre le cause: l'abolizione dell'Ici sulla prima casa, la crisi finanziaria mondiale e la contrazione della capacità di spesa dei singoli e delle imprese.
L. S.
20/05/2010