Le due palme
Cagliari, monumenti chiusi. L’anfiteatro è deposto nel suo catafalco; fosse greco e non romano potrebbe essere impacchettato da Christo e destinato alla vicina Grecia in bancarotta. Chiuso Tuvixeddu, lavori in corso: l’area si presta alla costruzione di un cenotafio, uno sferisterio, magari una moschea. Il Poetto è città-chiosco, ex città-casotto: terra di nessuno o sabbione di riporto per tutti, purché in costume da bagno. Le palme sul lungomare allargano le braccia. A monte c’è Castello, manco a dirlo/dirondello: un quartieremonumento sempre aperto al degrado, borgo storico spopolato. Un fuoripista urbano ma duro a morire. Se il Municipio avesse avuto cognizione di questa dolorosa condizione, avrebbe concentrato Monumenti Aperti dentro le mura del rione. Preferisce invece disperdere la cittadinanza benculturalista in un ambaradan cinetico di milleuno siti, didatticamente guidati e sorvegliati. Vox clamans in deserto. La voce delle palme rimbalza di colle in colle e sbatte sui bastioni di gomma. Per abitare in Castello bisogna dotarsi di un casco da minatore col suo faretto. Il quartiere, matrice primigenia di tutte le città che è stata Cagliari, è ridotto ad un campionario di belvedere dai quali godere la vista dell’area vasta che divora il suolo a suon di cantieri. Le palme nella terrazza del Bastione cantano “Tarantella, facennoce ‘e cunte, nun vale cchiù a niente ‘o ppassato a penzá...chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato…simm’e Cagliari paisài!
* Arteologo