Beni archeologici.
«Il patrimonio dei beni culturali è così vasto e complesso che lo Stato da solo non può farcela a svolgere i compiti di tutela e valorizzazione, ma la Repubblica con tutti i suoi enti pubblici sì»: Marco Minoja, 46 anni, milanese, da pochi mesi a capo della soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano, non si spaventa davanti agli ostacoli. L'ultimo in ordine di tempo: trovare un accordo col Comune del capoluogo sul futuro dell'anfiteatro romano. Di recente ha messo in dubbio la proprietà (dello Stato o del Comune?) e quindi la gestione dell'arena, già da anni al centro delle polemiche sulle tribune di legno. E poi la mina vagante di Tuvixeddu che nessuno riesce ancora a disattivare. Ma sono solo due problemi dei tanti che si presentano sul suo tavolo praticamente ogni giorno. Dall'ufficio nel palazzo sotto la torre di San Pancrazio gode di una vista spettacolare che spazia su Santa Gilla sino ai monti di Capoterra. Arriva dalla Lombardia, dove ha diretto il ricco museo di Asola (Mantova) ed ha lavorato per molti anni in Campania. «Da libero professionista», tiene a sottolineare, indicando una strada ai giovani archeologi che oggi non hanno speranze di trovare un'occupazione nello stato o nell'università.
ETRUSCHI Esperto di etruscologia - nel suo curriculum vanta numerosi saggi sull'argomento - ha vinto il concorso per la terra dei nuraghi. Che ci azzecca con gli etruschi? «Altroché», risponde come dimostrano gli studi più recenti sui rapporti tra i popoli del Tirreno e del Mediterraneo occidentale. «Abbiamo ampie tracce che documentano la presenza della civiltà nuragica in Toscana e Campania. E al contrario abbondanza di ceramiche greche e campane sono state trovate nell'isola. Le ricerche sono finalizzate ad approfondire la conoscenza sui legami culturali e sui rapporti commerciali tra queste popolazioni, tra cui gli etruschi che avevano colonie anche nell'Italia meridionale».
Le sue esperienze di etruscologo, a confronto con quelle dei colleghi sardi, potrebbero aprire nuovi sviluppi negli studi del periodo nuragico. Il problema è che per la ricerca resta davvero poco tempo e soprattutto non ci sono fondi. Il bilancio annuale - rileva Minoja - è di 350 mila euro complessivi. Alla ricerca sono destinati appena 15-20 mila euro, il resto se ne va con gli interventi programmati di conservazione e con le opere urgenti. «È su questo punto che dobbiamo rapportarci con la Regione, i Comuni e tutti gli enti istituzionali per portare avanti cantieri di restauro. Da soli sarebbe impossibile per mancanza di finanziamenti e di personale». Nel suo ufficio lavorano sette archeologi ai quali spetta la direzione degli scavi e dei musei nazionali di due vaste province, il controllo di tutti i cantieri dove si presentano emergenze archeologiche. Frequentissime ovunque.
AMBIENTALISTI Oggi tiene banco il dibattito sulla tutela ambientale con l'opinione pubblica divisa tra ambientalisti ad oltranza e possibilisti convinti che si possa costruire senza con ciò compromettere il patrimonio archeologico. Minoja non si fa intimidere dalle polemiche. «Ho lavorato a lungo in Campania - dice - in situazioni ad altissima concentrazione urbanistica e archeologica come Santa Maria Capua Vetere, l'antica città fondata dagli etruschi. La necropoli è proprio in mezzo all'abitato, circondata dalle abitazioni. Eppure i problemi sono stati affrontati e risolti».
LA LEGGE Come fare a conciliare l'archeologia con le esigenze edilizie? «Esistono le leggi sui lavori pubblici che dettano le norme: in particolare la 163 del 2006. E su questa bisogna muoversi» spiega. «Prima di aprire un cantiere edilizio è necessario acquisire tutte le informazioni per quantificare con chiarezza il rischio. Nella fase di valutazione esistono tre livelli: nel primo caso l'opera è di tale consistenza da non poter essere realizzata. Nel secondo uno studio di impatto deve fornire le indicazioni necessarie a salvaguardare il bene. Nel terzo livello uno scavo archeologico si esaurisce con l'acquisizione di tutte le informazioni e quindi si può procedere oltre con le costruzioni».
I CASI Qualche esempio in Sardegna? «Il tracciato del gasdotto tra Algeria e Italia sarebbe dovuto passare in un tratto interessato da rovine. Lo abbiamo bloccato con la richiesta di studiare una modifica del percorso. Casi di compatibilità, invece, sono i lavori in viale Trieste a Cagliari per un edificio della Regione e al bastione di Santa Caterina. Nel primo scavo gli archeologi hanno messo a punto un intervento che non ha impedito il proseguimento della costruzione, pur tutelando i ritrovamenti. Al Bastione si doveva capire da dove provenissero le infiltrazioni che stanno mettendo a rischio la Passeggiata coperta. Le condotte idriche passano vicino a reperti romani e medievali. Ora si sta operando per eliminare le infiltrazioni anche in presenza di emergenze archeologiche. A Tuvixeddu, invece, troviamo tutti e tre i casi di tutela».
TUVIXEDDU Il soprintendente riassume in pillole la situazione: «La necropoli è ovviamente area di assoluto vincolo. La zona delle cave di fronte alla facoltà di ingegneria difetta di studi di progettazione, mentre sul fronte strada di via Is Maglias non ci sono beni archeologici, ma esiste un discorso paesaggistico». Cosa succederà in futuro è ancora da vedere.
Oggi sul suo tavolo pressano altre emergenze che richiedono immediati interventi. La penisola di Nora, prima di tutto. «I resti romani rischiano di crollare in mare. Servono 100-150 mila euro subito per puntellare la roccia e bloccare l'erosione del costone». Ma per un progetto più ampio sarebbero necessari ben altri fondi. Più dell'intero bilancio della Soprintendenza.
CARLO FIGARI
12/05/2010