Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Les percussions con «Ionisation» inaugurano lo spettacolo al Lirico

Fonte: La Nuova Sardegna
3 maggio 2010

SABATO, 01 MAGGIO 2010

Pagina 42 - Cultura e Spettacoli

GABRIELE BALLOI

CAGLIARI. Soltanto nella prima metà del Novecento le percussioni hanno cominciato ad acquisire una dignità autonoma, non più vincolata ad una funzione semplicemente accessoria. Nel 1933 «Ionisation» del francoamericano Edgard Varèse fece da apripista a pagine esclusivamente percussionistiche. Un capolavoro di tale modernità che, a risentirlo oggi, si stenta a credere che risalga agli anni Trenta. La partitura originale, che prevedeva ben tredici esecutori, nel ’67 fu rivista da Georges Van Gucht per un ensemble di sei percussionisti. I destinatari di quell’inedita e peculiare performance erano Les Percussions de Strasbourg, un organico fondato (solo cinque anni prima) da alcuni membri dell’Orchestra di Strasburgo guidata da Ernest Bour, e di cui fra l’altro faceva parte il summenzionato Van Gucht.
Seppure con componenti ormai diversi da quelli che istituirono il gruppo, Les Percussions hanno aperto il concerto giovedì al Comunale proprio con «Ionisation». Un’intera locandina, per il X Festival di Sant’Efisio e per la Stagione del Lirico, è stata quindi dedicata a brani meramente percussionistici, la maggior parte dei quali sembravano quasi rivaleggiare per l’abbondanza degli strumenti adoperati. Dalle sirene, le accensioni e gli scoppi, dagli sfregamenti e gli allucinati frastuoni di «Ionisation», si passava alla sconfinata tavolozza timbrica di «Aqba, nel soffio tuo dolce» di Oscar Bianchi, un lavoro che ha messo in gioco un vasto armamentario di percussioni: piatti, tam tam, gong, crotali, wood-block, tamburi di legno, glockenspiel, campane tubolari, fischietti, bastone della pioggia, marimba e quant’altro. Strumentario ugualmente cospicuo per «Refontes» di Raphaël Cendo, con l’aggiunta di lastre di plexiglas e di fibra di vetro, nonchè varie inserzioni di elettronica, in un continuo alternarsi di disgregazioni e condensazioni del materiale sonoro, pressochè magmatico.
Fuori dal coro, invece, i due «Sextour de sixxens» di Philippe Manoury, eseguiti su un unico strumento, il «sixxen» per l’appunto, inventato da Xenakis nel ’79, per un pezzo che, manco a dirlo, scrisse pensando ai percussionisti di Strasburgo - infatti six sta per il numero dei musicisti necessari - xen sono le prime lettere del suo nome.
Ma con l’ultimo brano, «Hierophonie V» di Yoshihisa Taïra, oltre a tornare ad una gremita strumentazione, gli esecutori erano coinvolti perfino vocalmente in un’esibizione che rievocava i taiko e le arti marziali, inframmezzati da momenti più estatici, ovattati e suggestivi.