Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

I sogni dei Momix stregano l'Anfiteatro

Fonte: L'Unione Sarda
1 luglio 2008


Humour e sfida alle leggi della fisica nello show dei danzatori statunitensi
Il genere umano, recita un verso di T. S. Eliot, non può sopportare troppa realtà: ogni tanto è necessario fare il pieno di sogni, avventurarsi nel territorio incognito dell'altrove. Ieri sera (e stasera in replica, alle 21), all'Anfiteatro romano di Cagliari, con lo spettacolo dei Momix si è aperto uno spiraglio, un varco. In scena, per poco meno di due ore, il meglio della produzione della compagnia di danza teatro più famosa del mondo, fondata dal coreografo statunitense Moses Pendleton: una carriera lunga ventisette anni riassunta in una quindicina di numeri brevi e di forte impatto, applauditi con convinzione da circa 1.500 spettatori.
I ballerini (una decina, maschi e femmine) sono anche acrobati, contorsionisti e illusionisti, in perenne lotta contro le leggi della fisica, in continua tensione metamorfica, sempre sul punto trasformarsi in piante fantastiche, animali, misteriosi esseri acquatici o extraterrestri, forme astratte che sembrano uscire da un videogioco vintage . Corpi che rotolano, facendo l'altalena su un fantastico attrezzo metallico, che vorticano su se stessi, che si avvinghiano dando vita a composizioni impossibili e vagamente mostruose: tronchi di donne innestate su gambe di uomini. Man mano che si succedono i numeri, il movimento tende a farsi più circolare, veloce, ripetuto con microvariazioni: l'effetto è straniante, ipnotico. Le torsioni sembrano arrivare al limite delle possibilità anatomiche. Quattro danzatrici in scena, a cavallo di palloni trasparenti e fluidi come bolle d'aria: indossano tutine verdi, i movimenti di braccia e gambe ricordano quelli delle zampe della raganelle, avanzano e indietreggiano facendo perno sui palloni, in combinazioni seriali che ricalcano quelle della colonna sonora. Gli subentrano tre danzatori muniti di lunghe pertiche: stavolta lo slancio è verso l'alto, come nel salto con l'asta. Poi un numero dal sapore classico, circense: le ballerine con i serpenti, solo che a riprodurre i movimenti sinuosi dei rettili sono delle strutture tubolari metalliche.
Costumi, luci e musiche hanno un ruolo determinante, nell'invenzione dell'universo parallelo dei Momix. I suoni sono attinti dal repertorio della new age: un insieme di strumenti acustici ed elettronici, ritmi tribali e voci di cantanti etnici.
In scena ora sono in quattro, avvinghiati gli uni agli altri e vestiti con tutine rosse striate di nero e bianco, a dare vita al drago, essere mutante e sottilmente inquietante, anche se in sottofondo vibra una nota comica: un'altra delle caratteristiche della compagnia di Washington.
Il tempo di ammirare il vertiginoso assolo di una delle danzatrici, un numero basato sulle interazioni fra il corpo della ballerina e una palla argentata, e arriva uno dei pezzi forti di questo Greatest hits : sulla scena totalmente nera si materializzano delle forme fluorescenti, verdi e arancioni. Le muovono i danzatori, invisibili perché vestiti di nero. Le figure, otto, danno vita a una sorta di balletto: il tono è leggero, poi le figure si fondono, dando vita a due ragni tra cui si innesca una lotta spietata e dal sogno si passa all'incubo. Qua, grazie alle tecniche del teatro nero (usata anche per un altro numero, con le braccia dei danzatori a simulare un volo di gabbiani), siamo in un territorio più vicino all'animazione che alla danza. Ma lo sconfinamento, l'abbattimento dei limiti fra generi è un caposaldo della poetica del gruppo di Pendleton.
Altro numero di forte effetto, quello cui danno vita due danzatori con gli sci ai piedi: bloccata l'articolazione della caviglia, i corpi possono inclinarsi in avanti e indietro fino a raggiungere angolazioni spaventosamente acute.
Resta da annotare un numero con quattro ventagli (il momento forse più poetico dello show) ed è già gran finale, con i ballerini a raccogliere gli applausi sulle note di Burning down the house dei Talking Heads e Rat in the kitchen degli UB40. Pieni anni Ottanta, come a dire: «Noi veniamo da lì».
MARCO NOCE

01/07/2008