Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Novanta jacarande in esilio insieme alle idee per far spazio al cemento

Fonte: La Nuova Sardegna
19 aprile 2010

Piazzetta Maxia. Il cantiere dello scandalo

ENRICO PAU

CAGLIARI. Affacciati sull’inesplicabile vuoto di piazzetta Maxia, davanti al catino scavato nel calcare, nascono spontanee alcune domande (amare) sui destini dell’architettura cagliaritana. Aveva senso tanto cemento? Servivano queste scale fuori misura destinate a piombare minacciose nel centro esatto del futuro spazio verde “ipertecnologico”? Al posto della serena piazzola alberata di un tempo che imitava la natura, che seguiva umilmente il declinare della collina verso via della Pineta, ora c’è un fossato profondo cinque metri. Qui dovrebbero giocare i bambini ma si sa già che saranno costretti in viottoli prefabbricati. Un dubbio dopo l’altro: quale sarà, domani, il riparo per gli anziani? Non certo i teneri alberelli d’arancio, comparsi nel fossato, amatissimi dai responsabili del verde pubblico, più delle “monotone” cinquanta jacarande, esiliate chissà dove dopo essere state estirpate da piazzetta Maxia. Dal Comune fanno sapere che le jacarande torneranno (forse) per raggiungere le nove ora sistemate in fila davanti al baratro, nella nuova e presunta “via dei fiori”. Da sempre è triste, in città, il destino delle piante di alto fusto, i dirigenti al verde non le hanno mai amate. Le hanno sempre trattate a picconate, come la fitolacca centenaria e i pini del cantiere del Biochimico, o i ficus potati selvaggiamente in altri quartieri.
Insieme alle piante l’esilio è toccato anche alle idee. Sono state accantonate, come le proposte di rinascita del quartiere Sant’Elia, immaginata da Rem Koolhaas, il progetto per la casa dello studente di Paolo Mendes De la Rocha e il museo Betile. Al loro posto ovunque il Comune ha solo proposto e poi imposto cemento che chiama buono mentre è anonimo, come il giardino senza piante di via Manzoni firmato dall’architetto Fernanda Gavaudò, lo stesso della nuova piazzetta Maxia. C’è da chiedersi se questi amministratori amino davvero la città, almeno come la amavano gli autori delle geniali piantumazioni del passato, che hanno lasciato una preziosa eredità alle future generazioni. Eredità da difendere.