Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Chagall e la Bibbia, l’arte di raccontare i nostri sogni perduti

Fonte: La Nuova Sardegna
22 marzo 2010

SABATO, 20 MARZO 2010

Pagina 41 - Cultura e Spettacoli


Per la prima volta in Sardegna le serie realizzate dal celebre pittore russo tra il 1931 e il 1966

WALTER PORCEDDA

C’è qualcosa di magnetico, di antico e misterico quasi, nelle tavole del grande Marc Chagall riunite nella esposizione «Il Veggente di Vitebsk-Marc Chagall e l’Antico Testamento» da ieri visibili fino al prossimo 27 giugno nelle sale del Ghetto di Cagliari. Qualcosa depositato negli interstizi dimenticati della nostra memoria occidentale. Cuore mitologico e religioso, quelle icone sacre e archetipe disegnate nella Bibbia, danzano fuori dalle cornici in una visione che, in questo ciclo chagalliano assumono i contorni di una esperienza iniziatica.
E così, probabilmente, deve averla vissuta lo stesso pittore quando nel 1930, ricevette l’incarico di illustrare le vicende più significative della Sacra Scrittura dal collezionista francese Ambroise Vollard. Chagall, ebreo di origine russo, non era stato certo, fino ad allora, quello che si dice un religioso ortodosso eppure quel lavoro fu come una luce accesa all’improvviso. Che lo spinse a salpare verso i luoghi del Mito. In Israele, per conoscere la terra dei Profeti, Gerusalemme e il Monte Sinai, da dove partì poi la nuova diaspora dell’Ebreo Errante verso Est nella grande Madre Russia etc...
Questo è uno degli atti centrali dell’opera chagalliana. Quella che proprio dal ciclo della Bibbia diventa occasione di partenza e arrivo di una meditazione sul significato della vita e del tempo. Chagall diventa cioè cittadino stesso del Mito dei Miti, abitante e conoscitore dei primi libri, dalla Genesi all’Esodo del popolo ebraico fino alle rive del Giordano. Cittadino e interprete, traghettatore di sensibilità verso il mistero dell’ignoto e del sacro. Laddove appare sotto le forme flou di un sogno, del volo di un angelo nel cielo, o le figure ieratiche e possenti dei Profeti - Mosè innanzitutto - come quelle dolci delle sue donne, da Rachele a Sara.
E tali il visitatore di questa eccezionale mostra li osserva rapito, nelle sale del Ghetto. Centocinque acqueforti in bianco e nero realizzate tra il 1931 e il 1939, l’anno in cui l’artista riparò in Olanda allo scoppiare del conflitto, e completate nel 1957 per l’editore Tériade. Come il capitolo a parte dedicato all’Esodo (1966) ventiquattro stampe a colori, dentro lo stesso e precedente mood poetico. Un anello che si congiunge idealmente al primo e dove si ritrovano gli stessi segni scuri che delineano i contorni di debordanti figure. Il blu e l’ocra, il rosso e il verde, impressioni cromatiche che fanno levitare le storie fuori dal confine stretto delle cornici.
Chagall come testimone diretto di un tempo molto, molto antico. Il filosofo Gaston Bachelard nel suo bellissimo libro «Le droit de rever» annota che proprio in questo ciclo della Bibbia, l’artista supera l’ambito stretto della vita umana. «Non ha forse cinquemila anni? Vive al ritmo dei millenari. Ha l’età di quel che vede...».
È d’altronde lo stesso Chagall a dire che la Bibbia «è la più grande sorgente di poesia di tutti i tempi», meglio «la più grande opera d’arte del mondo» che lo «affascinò sin da ragazzo». E inaugurando il Museo del Messaggio Biblico di Nizza, dopo aver rivelato che la pittura gli «appariva come una finestra attraverso la quale potevo volare verso un altro mondo» osserva che per lui «La perfezione nell’arte e nella vita nasce da quella fonte biblica. Senza quello spirito, la sola meccanica della logica e della costruzione nell’Arte come nella vita non porta alcun frutto».