il ritratto
La gloria gli aveva solo rudemente accarezzato le spalle quando, da allenatore del Cagliari, aveva mancato d'un soffio, perdendo lo spareggio con la Pro Patria a Roma, era il 1954, quella promozione in A che la Sardegna avrebbe festeggiato una decina d'anni dopo con Sandokan Silvestri e, soprattutto, con Gigi Riva. Non ha vinto neppure Olimpiadi, Mondiali o Europei. Non è stato azzurro di fama internazionale. Non ha ricevuto premi che non siano stati i graditissimi sorrisi di amici o sconosciuti che in tanti anni gli hanno rivolto un semplice “grazie”. Eppure se c'è una persona che ha attraversato da vincente lo sport sardo, non c'è dubbio, questa è Cenzo Soro. Unico, non può essere paragonato a nessun'altra figura, forse non solo in Sardegna: punto di riferimento morale per intere generazioni, alle quali non ha insegnato lo sport ma che cosa è. I suoi codici non scritti, il rispetto per lo sconfitto, il piacere per il gesto tecnico e atletico, la lealtà, il valore spesso effimero di un successo, la modestia, rara virtù che deve appartenere ai vincenti. Era motivo d'orgoglio potergli dare del tu, era sorprendente - fino a pochi mesi fa - ricevere di tanto in tanto un suo messaggio, per posta nell'era di Internet, nel quale con lucida sintesi e una superba grafia da fine Ottocento analizzava un problema: il doping, il professionismo ormai esasperato, la mancanza di valori sportivi, ma anche una semplice sconfitta del suo Cagliari, andando oltre i luoghi comuni del mondo del pallone. La sua grande passione. Ma non solo: è stato anche presidente della Federbasket regionale, nell'epoca del Brill, quando la pallacanestro sarda era diventata grande, forse anche troppo, senza rinunciare grazie a lui a quelle radici che oggi ha invece perduto. È stato anche coach di atletica leggera e di hockey su prato in anni non ruggenti ma irripetibili perché genuini. Gigi Riva - che oggi lo piange come un padre - lo aveva voluto al suo fianco quando, trent'anni fa, aveva fondato la Scuola Calcio: la presenza di Cenzosoro, tutto attaccato proprio come Gigiriva, garantiva un'immagine di bellezza estetica e purezza morale perché, ormai quasi anacronisticamente, l'obiettivo di quella scuola è stato ed è ancora quello di essere Scuola. Magari, senza troppa retorica, anche di vita. Il privilegio di parlare con lui era molto più che accendere un motore di ricerca su Internet: memoria storica, anzi di più. Cenzo Soro è stato testimone praticamente di tutto, un occhio acceso sui pregi e sulle debolezze del nostro mondo, non solo sportivo. La malasorte gli ha impedito (era un ottimo portiere) di passare alla Juventus. Ma oggi a distanza di tanti anni consideriamo quel fatale infortunio alla spalla quasi un segno del destino: lo sport sardo non voleva che andasse via, voleva che rimanesse qui. Dove rimarrà per sempre. Cenzo, come tutti i patriarchi, è uno di quei pochi uomini che avranno in dono dal destino il privilegio più grande: quello di non morire. Ma di sopravvivere a se stesso.
NANDO MURA
11/03/2010